Tanto che, in presenza di salari bassi, soprattutto per le madri, è quasi più conveniente non lavorare.
Una situazione che rende prioritario ridurre il costo dei servizi di cura per l’infanzia attraverso agevolazioni fiscali e soprattutto con misure più ampie come quelle di welfare aziendale che prevedano la partecipazione ai costi da parte delle imprese, rivolte innanzitutto alle fasce di lavoratori con più bassi livelli d’istruzione e quindi di reddito.
Oggi, infatti, lo Stato non è in grado di fornire al cittadino un sistema completo di welfare che copra ogni esigenza determinata dal progressivo invecchiamento della popolazione e dalla maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, a causa dei sempre più stringenti vincoli di spesa.
Le imprese, con il welfare aziendale, potrebbero contribuire in modo significativo a migliorare la vita privata e lavorativa dei propri dipendenti e a facilitare la conciliazione tra vita privata e professione, aumentando anche il benessere in azienda e la produttività.
Ma molto c’è ancora da fare.
Si pensi che solo lo 0,1% dei lavoratori dipendenti (21.000 unità) in Italia riceve il rimborso per le spese sostenute per i servizi rivolti all’infanzia (asili nido, scuole materne e centri estivi), con minime differenze di genere.
È questa la foto scattata dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro con il suo primo rapporto dal titolo: “Famiglia, lavoro, gender gap: come le madri-lavoratrici conciliano i tempi”.
L’indagine, che ha messo in relazione famiglie e lavoro ed in particolare ha cercato di comprendere in che modo il ruolo genitoriale incide sulla partecipazione al mercato del lavoro da parte delle madri, rappresenta l’ultima tappa di un percorso avviato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro con l’istituzione dell’Osservatorio del Mercato del Lavoro all’interno della Fondazione Studi, con la pubblicazione del libro “La fatica nelle mani - Lavoro, famiglia e futuro” e con la diffusione del rapporto su famiglia e lavoro in occasione del Festival del Lavoro 2016.
In poco più di un decennio (2004-2015) sono cambiate profondamente le caratteristiche delle famiglie: il nucleo familiare classico costituito da una coppia con figli, pur rimanendo maggioritario, subisce una lieve flessione, mentre aumenta in modo consistente il numero delle persone sole.
Una famiglia su tre è composta da un single, come conseguenza di profondi mutamenti demografici e sociali.
Dal rapporto emerge che nelle famiglie dove uno dei due componenti ha un lavoro più qualificato e meglio retribuito c’è una maggiore propensione a fare figli.
Ciò, non a caso, consente di far fronte alle spese per i servizi sostitutivi del lavoro domestico e di cura dei bambini, soprattutto se molto piccoli.
Un fattore che incide quasi esclusivamente sul tasso d’occupazione femminile è il costo del lavoro domestico e per la cura dei figli, svolto gratuitamente dalle madri, che dovrebbe invece essere pagato nel caso in cui la donna decidesse di lavorare.
Il costo dei servizi sostitutivi del lavoro domestico e di cura dei bambini, in assenza di nonni o di altri familiari, è pari in media a circa 500 euro al mese.
Ma l’Italia è anche il paese europeo con il più alto rapporto tra inattivi e popolazione: un terzo delle donne italiane tra i 25 e i 49 anni (33,3%) non lavora e neppure cerca un’occupazione.
Le considerazioni tecniche contenute nel rapporto trovano piena valorizzazione nell’Osservatorio Statistico di Categoria, testimonianza come i 28.000 Consulenti del Lavoro siano fortemente radicati sul territorio e centrali nel mondo del lavoro.
Essere professionisti, infatti, significa assunzione di responsabilità e consapevolezza dell’etica del proprio operare.
Per questo non bisogna limitarsi all’applicazione delle norme e delle riforme, ma promuovere quelle opportunità che possano far ripensare ai tempi di vita e di lavoro, al welfare della persona, al sostegno delle donne lavoratrici con l’obiettivo di migliorare il futuro dei cittadini.
A cura di Rosario De Luca