L'elemento soggettivo richiesto per la configurabilità del reato predetto va individuato nel dolo. Il delitto è doloso o secondo l'intenzione quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la Legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione (art. 43 del Codice Penale). Il dolo (generico) è dunque rappresentazione e volontà del fatto oggettivo tipico, cioè di tutti gli elementi oggettivi, positivi e negativi, della fattispecie del reato.
L'integrazione delle due fattispecie previste dai commi 6 e 7 dell'art. 189 del Codice della Strada impone la piena consapevolezza in capo al presunto autore del fatto stesso che ci sia stato l'incidente, che questo sia a lui ricollegabile e che taluno abbia riportato lesioni personali e abbia conseguentemente bisogno di assistenza, unitamente alla volontà di non fermarsi e di non prestare soccorso. Il dolo richiesto deve investire l'omesso obbligo di fermarsi in relazione all'evento incidente, obbligo che ha come scopo, oltre che quello di prestare assistenza alla persona che eventualmente abbia subito delle lesioni, anche quello di consentire l'immediata identificazione delle persone coinvolte nel sinistro e quello di collaborare nello svolgimento delle indagini per l'accertamento della responsabilità.
La Suprema Corte di Cassazione ha evidenziato che nel reato di fuga previsto dall'art. 189, comma 6, del Codice della Strada, l'accertamento del dolo, necessario anche se esso sia di tipo eventuale, va compiuto in relazione alle circostanze concretamente rappresentate e percepite dall'agente al momento della condotta, laddove esse siano univocamente indicative del verificarsi di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone (Cass., Sez. IV, 16982/2013).
I Giudici di legittimità, richiamando una precedente pronuncia (Cass., Sez. IV, 3568/2009, Roman), ricordavano che ai fini della configurabilità del reato in discorso, il dolo richiesto per la punibilità possa essere integrato anche dal solo dolo eventuale, non essendo necessario il dolo intenzionale. Si precisa che si ha dolo intenzionale o diretto quando la volontà ha direttamente di mira l'evento tipico, sia esso stato previsto dall'agente come certo o solo possibile. Si ha, invece, dolo eventuale o indiretto quando la volontà non è diretta alla realizzazione dell'evento, ma l'agente lo accetta come conseguenza eventuale della propria condotta.
Pertanto, l'indagine circa la sussistenza del dolo deve avere ad oggetto le circostanze fattuali del caso, laddove queste, ben percepite dall'agente, siano univocamente indicative di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone. Trattasi di un metodo di accertamento rigoroso, non potendo presumersi il dolo eventuale nella condotta di chi non arresta il proprio veicolo per prestare assistenza a seguito di un sinistro stradale.
Considerata la difficoltà pratica nell'accertamento del dolo eventuale, risulta particolarmente apprezzabile il ragionamento effettuato dalla Corte di Cassazione, volto alla ricerca di tutti gli elementi del fatto ai fini della valutazione della colpevolezza dell'imputato, in ossequio alla regola della responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio.
Con riferimento all'accertamento dell'elemento psicologico ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 189, commi 6 e 7, del Codice della Strada, risulta degna di nota la recente sentenza n. 1444/2016 del Tribunale di Forlì.
Nel caso di specie, il Giudice applicava i principi enunciati dalla Suprema Corte di Cassazione nella citata sentenza n. 16982/2013. Pertanto, a seguito dell'indagine compiuta in relazione alle circostanze concrete rappresentate e percepite dall'imputato al momento del fatto, emergevano lesioni trascurabili, persona offesa che non necessitava di immediata assistenza, danni materiali lievi e breve sosta dell'imputato. Poiché il dolo deve coprire tutti gli elementi (positivi e negativi) del fatto, risultava verosimile che il soggetto agente non si fosse reso conto di aver concretamente arrecato un danno alla persona, per cui comunque non erano necessarie cure mediche al momento del fatto. Inoltre i danni ai veicoli, di modesta entità, non lasciavano prevedere conseguenze lesive alla persona.
Pertanto, il Tribunale assolveva l'imputato per non essere stata raggiunta piena prova che l'imputato avesse posto in essere la condotta contestata con coscienza e volontà.
L'orientamento dei Giudici di legittimità, fatto proprio dal Tribunale di Forlì, risulta condivisibile in quanto rispettoso del principio di colpevolezza, il quale impone che il fatto materiale offensivo posto in essere dall'agente gli appartenga psicologicamente, sussistendo non solo un nesso causale ma anche un nesso psichico tra l'agente ed il fatto criminoso.
A cura di Elisa Fea