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Birra artigianale, i miti da sfatare

27/11/2015

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​Microbirrifici e brewpub: un mondo tutto da scoprire.
Negli ultimi anni sono nati come funghi in tutta la penisola i birrifici artigianali con le loro proposte di birre particolari. Ma quali le differenze con le birre tradizionali? E perché il fenomeno è in continua espansione? Come conoscerlo e comprenderlo?
Innanzitutto è bene differenziare alcuni aspetti. Per microbirrifici si intendono le vere e proprie aziende birrarie, i brewpub invece sono locali che somministrano la birra e ospitano piccole unità di produzione. Infine ci sono le beer firm ovvero aziende prive di impianti di produzione che si appoggiano all’impianto di un altro birrificio per realizzare la propria birra con la propria ricetta.
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sul vastissimo tema della birra e dei birrifici artigianali: impossibile per questioni di spazio spiegare i moltissimi e differenti stili ma si tenterà almeno di sfatare qualche mito che, in Italia più che in altri Paesi, ancora resiste.

La prima irriverenza italiana è il termine “birra doppio malto”. Il comune bevitore di birra lega questo termine ad una birra alta di gradazione: ebbene, sbaglia!
La legislazione italiana infatti per determinare la tassazione alla produzione di birra ha suddiviso la sostanza in categorie, basandosi sulla quantità di zuccheri contenuti nel mosto della birra. Tra queste categorie vi è la tipologia “doppio malto” che indica una certa quantità di zuccheri nel mosto ma non è in nessun modo un indicatore della gradazione alcolica della birra: possiamo avere una “doppio malto” da 4.5° alcolici e una birra “speciale”, altra categoria, da 6°.

Altro mito da sfatare? Pensare che più la birra sarà di colore scuro, più sarà alcolica. Giusto per chiarirci facciamo un esempio: ci sono birre bionde all’apparenza beverine dal grado alcolico altissimo, e birre scure, come ad esempio le stout, da 4-5°. State dunque attenti a non cadere nella trappola della gradazione di colore.

Siete in un brewpub e vi trovate in difficoltà? La vostra amata media rossa è stata fagocitata da troppi nomi nuovi e da sfumature e gusti mai sentiti? Non temete: non sempre il colore della birra indica un determinato gusto, anzi sarà meglio porre attenzione a cosa dice il cameriere.
Cercate di spiegargli che tipo di birra vi piace, immaginandone il gusto mentre questa vi viene raccontata: se più fruttata, più acidula, più amara, ecc. Insomma chiedere una media rossa sarebbe un po’ come ordinare una bottiglia di rosso al ristorante senza specificare se fermo o frizzante o se dolcetto o nebbiolo.

Parlando di birre amare è doveroso fare un piccolo excursus in questa categoria di birre che, nell’ultimo periodo, spopola tra i bevitori italiani tanto da costringere i mastri birrai ad inventarsi nuove ricette uscendo magari dal loro stile classico.
Birrifici di tutto il mondo infatti si sfidano a colpi di IBU, l’unità utilizzata dai fabbricanti di birra per misurare l’amarezza del loro prodotto.
Uno degli stili più in voga è infatti la birra IPA ovvero India Pale Ale. La tradizione vuole che questa birra di stile inglese sia nata più amara - quindi con un impiego più marcato di luppolo - per poter affrontare indenne il viaggio fino alle colonie inglesi dell’India. Insomma, una Pale Ale - birra ad alta fermentazione prevalentemente chiara - preparata per i sudditi inglesi che vivevano in India e che oggi ha subìto moltissime declinazioni ed è diventata il prodotto di punta di alcuni rinomati birrifici.
​
Un mondo di nuove storie e nuovi gusti che non aspetta altro che stupire i palati più curiosi.


A cura di Anna Pellegrino
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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