La perdita di biodiversità e la distruzione di habitat naturali, causate dal nostro modello di produzione e consumo, contribuiscono infatti alla diffusione delle malattie infettive e in particolare delle zoonosi, cioè delle malattie trasmesse dagli animali all’uomo. La diffusione esponenziale dell’allevamento industriale, ad esempio, erodendo gli habitat naturali della fauna selvatica, ha aumentato le possibilità di contatto tra bestiame e animali selvatici, facendo così esplodere il rischio di trasmissione delle malattie originate da questi ultimi.
Se non agiamo al più presto per arrestare la perdita di biodiversità ci condanniamo a continuare a combattere guerre contro virus che abbiamo noi stessi contribuito a diffondere.
Il Covid-19 si è anche rivelato particolarmente pericoloso proprio in zone ad alto tasso di inquinamento come nella Pianura Padana. Un recente studio scientifico della Società italiana di medicina ambientale (Sima) dimostra la presenza del Covid-19 nel particolato in atmosfera.
Seppure il nuovo studio non attesta con certezza che vi sia una terza via di contagio, è importante mantenere basse le emissioni di particolato, per limitare la potenziale diffusione del virus.
Non bisogna poi dimenticare che l’inquinamento atmosferico causa ipertensione, diabete e malattie respiratorie, tutte condizioni che aumentano la mortalità del virus.
È pertanto fondamentale adottare misure concrete per ridurre le emissioni del trasporto, gli allevamenti intensivi, le attività industriali, gli inceneritori e i riscaldamenti che sono le principali cause dell’inquinamento atmosferico.
L’UE si è impegnata a raggiungere l’obiettivo di emissioni nette pari a zero entro il 2050, e per far ciò è necessario cambiare l’attuale sistema di produzione alimentare per un’agricoltura biologica, promuovere l’efficienza energetica e delle risorse, adottare una strategia rifiuti zero, transitare verso l’economia circolare e ridurre le emissioni climalteranti prodotte dai trasporti del 90 % entro il 2050.
Eppure, c’è chi in questo contesto strumentalizza l’emergenza coronavirus per chiedere di ritardare gli impegni per l’ambiente, cercando di continuare a fare i propri interessi adiscapito dell’ambiente e della salute dei cittadini.
I produttori di plastica vogliono mettere temporaneamente da parte (fino a data da destinarsi) la Direttiva sulla plastica monouso, che però non ha alcuna connessione con l’attuale pandemia, come ha ricordato anche la Commissione europea: questa Direttiva vieta l’utilizzo di prodotti come piatti, posate e cannucce in plastica, non certamente di dispositivi medici.
Non manca all’appello Business Europe, l’associazione delle imprese europee, che ha chiesto alla Commissione europea di rimandare tutta la legislazione ambientale “non-essenziale”, come se esistessero regole europee sull’ambiente non importanti!
Anche la Federazione delle industrie tedesche ha fatto sentire la sua voce chiedendo di poter ritardare l’applicazione di misure relative a sostanze pericolose, come i composti chimici PFOA, classificati dallo IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) come potenzialmente cancerogeni.
Trovo sconcertante poi che l’industria automobilistica chieda di dilazionare gli obiettivi di riduzione delle emissioni delle auto e, già prima della pandemia, il Ministro tedesco dell’Economia aveva fatto una tale richiesta, da me denunciata in una lettera alla Commissione Europea, a dimostrazione che il settore non si è mai veramente impegnato a diventare più sostenibile.
Ho voluto denunciare questi tentativi di annacquare la legislazione europea sull’ambiente in una recente lettera che ho inviato al Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, insieme ad altri colleghi, in cui ho chiesto di non rallentare il raggiungimento degli obiettivi climatici e di non soccombere alle richieste di quei settori industriali che vogliono approfittare dell’attuale emergenza sanitaria per ritardare quel cambiamento necessario che serve al nostro pianeta e alla nostra società.
Non saranno queste pressioni a farci cambiare idea: noi restiamo convinti che non è certo questo il momento di fare un passo indietro, al contrario, un vero piano verde è ciò che serve per la ripresa post Covid-19. Per superare questa crisiabbiamo bisogno non solo di nuovi strumenti di finanziamento europei, come gli Eurobond, con i quali supportare il Green Deal europeo e la transizione verso un’economia circolare ma anche di reindirizzare tutti i fondi europei destinati a progetti che risultano antitetici a questo obiettivo, come quelli legati alle fonti fossili e al TAV.
A cura dell’On. Eleonora Evi.