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Bali, oasi di pace

25/7/2015

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I vulcani sornioni. I templi quieti di pietra e paglia. Le pittoresche risaie. Le foreste silenziose. L’acquario in un mare. La sabbia dorata o sorprendentemente grigia. Gli aspri pendii. Gli specchi d’acqua.
La gente che sorride, che prega. Gli dei da allietare. I demoni da placare. Gli eleganti sarong per strada. Gli sgargianti batik nelle botteghe.
È Bali, Indonesia. È l’isola degli dei, piccola oasi di pace in cui perdersi a contemplare silenzi e suggestioni.
Per farlo, non ci si può certo fermare alle attrazioni della costa. Perché la vera anima di Bali non si avverte nella caotica Denpasar, capoluogo dell’isola, sulle affollate spiagge intorno a Kuta o nei resort di Nusa Dua. Si annida fra le montagne, sede degli dei induisti-balinesi. Si irradia fra le campagne a partire da Ubud, centro della vita culturale e artistica dell’isola.
È qui che sorgono villaggi in cui si dipinge, si intaglia, si forgia e si tesse. E si coltiva il riso, alimento base della cucina balinese. È qui che viviamo la Bali più autentica, durante il nostro viaggio alla scoperta dell’isola. 
Fra piantagioni di caffè, tè e spezie, sostiamo in un piccolo centro produttivo, dove sorseggiamo caffè al ginseng, tè allo zenzero e alle radici di limone e assaggiamo le tipiche pisang goreng (banane impanate e fritte).
Sempre nei dintorni di Ubud, ammiriamo gli artisti all’opera in una bottega artigiana del batik, dove acquistiamo una delle coloratissime tele.
E poi ci intrufoliamo nel bel mezzo dei preparativi di una festa al tempio della Grotta dell’elefante, luogo sacro dall’XI secolo. Osserviamo incuriositi gli uomini, che costruiscono capanni provvisori in canne di bambù, agili come gatti, e le donne, impegnate a comporre elaborati cestini in foglie di palma per le offerte di riso e fiori agli dei. È un affaccendarsi operoso e lieto che coinvolge l’intera comunità del villaggio.
Immancabile il pranzo in un ristorantino tipico, dove gustiamo per poche rupie ottimi lumpia (involtini fritti di verdure e carne) e nasi goreng (riso saltato con pollo e verdure), rinfrescandoci con una birra Bintang. Il tutto su una terrazza affacciata sul vulcano Agung e sulle risaie. 
Le risaie di Bali. Un vero capolavoro di architettura rurale, realizzato nei secoli dai contadini, che ancora oggi svolgono a mano il durissimo lavoro di coltivazione e raccolta del cereale. Le floride terrazze d’acqua e riso sono enormi gradini con argini in pietra e argilla, che si inerpicano su per ripidi pendii. È un tripudio di verde, in tutte le gradazioni, accese e riflesse dai luccichii dell’acqua.
Accanto alle risaie, l’altro segno distintivo della bellezza sobria e intensa di Bali sono i pura (templi), che sorgono a migliaia sull’isola. Nei villaggi, nei cortili di ogni casa, sulle stradine polverose, nelle foreste, abbarbicati su speroni rocciosi a picco sul mare e sulle sponde dei laghi.
Ogni tempio, luogo di preghiera e incontro per uomini e dei, è uno spazio sacro a cielo aperto, cintato da mura e sorvegliato all’ingresso da statue di demoni, incaricati di tener lontani gli spiriti maligni. All’interno si susseguono più cortili, contenenti padiglioni, altari e reliquiari, in cui svettano altissimi i meru, pagode in legno su basamenti di pietra vulcanica, con più tetti sovrapposti in paglia di riso, che si assottigliano verso l’alto.
Varcare la soglia di un tempio balinese - con sarong in vita a coprire le gambe, tassativo anche per gli uomini - è un’esperienza di autentica distensione. I rumori del mondo esterno si spengono e si respira pace e armonia.
È ciò che avvertiamo nel Taman Ayun di Mengwi, delimitato da fossati d’acqua in cui riposano ninfee e fiori di loto. O nel Pura Dalem di Alas Kedaton, uno dei templi immersi nella penombra della foresta balinese e abitati da famiglie di (sfrontati) macachi.
Un’esperienza meno spirituale ce la regala il celebre tempio di Tanah Lot, schiaffeggiato dalle onde del mare e affollato da un’orda di turisti in trepida attesa del tramonto, quando l’elegante profilo nero dei suoi meru ritaglia lo sfondo dorato del cielo.
Il tempio che più ci ha stregati? Il Pura Besakih, il tempio madre. A circa 1000 metri di altitudine, è abbarbicato alle pendici del vulcano Agung, montagna sacra perché Olimpo degli dei.
Il Pura Besakih è un complesso di templi nel tempio, posti su più livelli a terrazza. La scenografia è spettacolare. Una carovana di donne - fasciate in camicie leggere (kebaya) con sarong in vita - percorrono in un continuo saliscendi la ripida scalinata centrale del tempio, portando ceste sul capo con le offerte votive. Il via vai è incessante, il brulichio ordinato e composto. Gli uomini cantano solennemente con il sacerdote, di bianco vestiti, in uno degli spazi sacri adibiti alla preghiera.
Nuvole leggere rotolano giù dalla vetta dell’Agung. Portano con sé una luce eterea e, forse, il respiro degli dei.

A cura di Francesca Vinai 
Foto Credits: Francesca Vinai
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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