In attesa che venga emanato il Testo unico della pubblica amministrazione, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha predisposto uno studio sui possibili effetti dell’estensione delle norme relative al licenziamento per giusta causa anche ai dipendenti pubblici.
In particolare, sono stati analizzati i flussi relativi all’anno 2014 delle comunicazioni obbligatorie, diffusi dal Ministero del lavoro, sulla base dei dati trasmessi dai datori di lavoro in caso di interruzione del rapporto di lavoro.
In un anno, in Italia, nel settore privato vengono interrotti 10,139 milioni di rapporti di lavoro tra subordinati e collaborazioni coordinate e continuative. La maggior parte delle interruzioni, pari a 6,73 milioni, riguarda i rapporti a tempo determinato, che terminano in relazione alla naturale scadenza fissata dalle parti.
Se però si guardano i dati sui licenziamenti italiani, si scopre che nel 2014 ci sono stati 1,09 milioni di licenziamenti nel settore privato. Tra questi, 828.000 casi derivano da un licenziamento economico, mentre in 89.000 casi si è proceduto con un licenziamento per motivi disciplinari, ossia di giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.
Pertanto, i licenziamenti per motivi disciplinari rappresentano l’8% del totale e lo 0,67% degli oltre 13 milioni di rapporti di lavoro attivi nel settore privato.
Se le stesse percentuali venissero applicate anche ai 3.233.000 rapporti di lavoro del pubblico impiego, emergerebbe che i lavoratori potenzialmente licenziabili per motivi disciplinari sarebbero ogni anno circa 21.661, a fronte di un costo medio del lavoratore pubblico pari a 48.936 euro.
Il costo complessivo dei dipendenti pubblici potenzialmente destinatari di un provvedimento di licenziamento per giusta causa sarebbe, quindi, pari a 1,060 miliardi di euro.
L’obiettivo del nostro studio è quello di mettere in luce, pur semplificando, il possibile sviluppo dell’applicazione percentuale delle statistiche del settore privato al settore pubblico, attraverso una simulazione un po’ provocatoria.
Questo per sottolineare quanto segue: se nel settore privato, a fronte di questi licenziamenti, seguono poi delle assunzioni, anche nel settore pubblico si dovrebbe pensare ad una maggiore flessibilità. Senza considerare quanto potrebbe risparmiare lo Stato, che poco non è.
Lo scopo della provocazione della Fondazione Studi che presiedo è spiegare che questi provvedimenti dovrebbero portare ad una corsa alla meritocrazia e ad una maggiore qualità della prestazione lavorativa.
Se venissero attuati, infatti, ci sarebbe una maggiore competitività sul lavoro. Al contrario, mantenendo la situazione invariata, si potrebbe assistere con maggiore frequenza a fenomeni di lassismo nel settore pubblico, come ogni tanto vengono segnalati.
A cura di Rosario De Luca