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Architettura, il potere della matita

17/12/2015

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​Sofisticate tecnologie hanno soppiantato il disegno a mano. Ma è fondamentale riprendere l’uso di carta e matita.
Uno dei musei più prestigiosi al mondo ha dato inizio ad un nuovo modo di fruire la storia dell’arte. Il Rijksmuseum di Amsterdam ha proibito di scattare fotografie nelle sue sale: via i telefonini e via le apparecchiature ancora più sofisticate. 
Al posto delle fotografie, per portare a casa un ricordo, osservato con occhio più attento e acuto, sono calorosamente consigliati i disegni. 
Album, taccuini e matite si ritireranno gratuitamente alla cassa, per iniziare un giro tra gli allestimenti del museo all’insegna della dovuta tranquillità e della necessaria concentrazione. Si abbandona la fredda registrazione tecnologica per fare spazio al calore di un personalissimo carnet de voyage indoor.
Oggigiorno diverse categorie professionali, alcune più di altre, stanno ritornando al disegno. Tra queste quella degli architetti, in quanto il disegno con la D maiuscola sta all’architettura come la scrittura sta alla letteratura. 
Tutti i progetti nascono e si sviluppano attraverso un disegno e in un passato neppure tanto lontano, le scuole di architettura erano fortemente interconnesse con le Accademie di Belle Arti. Uno studente di architettura eseguiva, nella sua carriera accademica, molte copie dal vero di edifici storico-monumentali o di scorci urbanistici. 
Nelle facoltà erano numerosi i corsi di disegno dal vero, disegno e rilievo, rilievo dei monumenti, disegno geometrico. Il disegno era considerato una delle tante porzioni dell’architettura capace di dar vita alla sintesi progettuale, in grado di amalgamare e rendere possibile la visione del progettato.
L’ampia pratica del disegno avvantaggiava gli studenti degli ultimi anni di architettura, ancora di più quelli che avevano frequentato precedentemente il liceo artistico, poiché li inseriva anticipatamente nel mondo del lavoro, rendendoli appetibili e preziosi per gli avviati studi di progettazione.
L’evoluzione informatica ha fatto sì che da circa vent’anni nelle facoltà di architettura sia impossibile vedere un tecnigrafo o un tavolo da disegno, soppiantati da tastiere, tavolette grafiche e computer, credendo così di ammodernare e rinnovare anche il modo di fare architettura.
La disciplina del disegno non è un’attività anacronistica da nostalgico amanuense, bensì un prezioso accordo tra il cervello e la mano, visto come collegamento diretto tra cosa immaginiamo e cosa e come riusciamo a trasmetterlo sulla carta. 
Si tratta di un dialogo che avviene sempre in tempo reale, quasi senza supporti esterni, se non con la superficie sulla quale disegnare, sia essa un taccuino davanti al cliente o un muro in cantiere circondati dalle maestranze. Solo così si riesce a comunicare istantaneamente la suggestione di un’idea o di un dettaglio costruttivo.
All’estero l’importanza del disegno è tutt’oggi ancora riconosciuta e coltivata. Tra le competenze dell’architetto c’è anche quella di saper utilizzare la matita a mano libera, senza l’ausilio di squadre e righe.
I professionisti del settore edilizio ormai usano solo più programmi tridimensionali, con resa grafica algidamente perfetta ma senza più riuscire a comunicare passione né tanto meno espressività formale. 
Il disegno, invece, è fatto di tecnica ed espressione, di segno e rivelazione. Lo schizzo elaborato di getto fissa l’attimo e l’appunto, ferma l’idea da sviluppare successivamente con calma, arricchendo il tutto di creatività, di misure e di normative, dando un apporto individuale e personale alle forme architettoniche.
Disegnare significa anche guardare dentro e fuori di noi in modo chiaro, profondo, intenso. È un linguaggio preciso, e quando rappresentiamo ciò che ci circonda, lo facciamo utilizzando emozioni visive riconosciute da tutti, anche se espresse con una sfaccettatura altamente individuale. 
In questo modo il disegno diventa una rappresentazione collettiva e soprattutto comunicativa, che nella nostra professione dà forma a esigenze spaziali, abitative, urbanistiche e paesaggistiche.
Nell’atto di osservare esprimiamo un giudizio sia estetico sia compositivo, prestiamo attenzione a ciò che ci circonda, trasmettendo una nostra precisa, inequivocabile e personale interpretazione del reale. Solo il disegno è capace di tale sintesi interpretativa, non certo un artificio informatico per quanto preciso o perfetto possa essere.
L’architettura si legge e apprezza solo avendola riprodotta con la trascrizione puntuale del disegno e del rilievo. Sapendo riprodurre un edificio si riesce a trasferire con capacità di linguaggio le proprie sensazioni in un’architettura ex-novo, interpretando e materializzando le informazioni accumulate. 
Guardando attentamente l’intorno tramite il disegno, il nostro occhio percepisce la forma che non è data solo dal visibile, ma anche da aspetti non rivelati, da informazioni che giungono al nostro cervello mediate dalle nostre conoscenze e dalla nostra memoria. Percepiamo anche attraverso ciò che riconosciamo senza vederlo. Il compito della linea nel disegno d’architettura è quello di delimitare fortemente l’interno dall’esterno, inteso proprio come dentro e fuori casa. E nel disegno a mano libera se la riconoscibilità è solo intuibile, possiamo forzarla per renderla più comprensibile e meno ambigua.
Sull’importanza del disegno, senza necessariamente essere architetti, Jung teorizzò che disegnare dei semplici Mandala, significa porre ordine nel proprio caos interiore. 
Sulla scorta di queste affermazioni, tra i libri più venduti ad oggi ci sono dei volumetti per adulti stressati, pieni zeppi di figure e sagome vuote da riempire col colore o da disegnare nelle parti mancanti. Colorare e disegnare diventa così una forma di meditazione attiva, in grado di aumentare il buon umore e la visione positiva della vita. È un’attività che agevola il de-stress del cervello, focalizzando la propria attenzione ad un livello diverso dalla quotidianità.
È insita in tutti noi la potenzialità disegnatoria: dobbiamo solo alimentarla e potenziarla per portarla alla luce. Da una matita si possono avere grandi soddisfazioni e pesa solo cinque grammi: teniamone sempre una a portata di mano (e cervello), in tasca come nella borsa.

A cura di Francesca Landriani
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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