In ogni epoca ciascuna di queste scoperte è risultata non solo determinante ma appunto rivoluzionaria rispetto all’assetto storico e culturale del tempo.
Oggi possiamo affermare essere in atto la quarta rivoluzione industriale, non si può dare una data di riferimento per l’inizio di questa ma siamo sicuri di vivere nel bel mezzo di questo cambiamento.
Per industria 4.0 (spressione utilizzata per la prima volta nel 2011 in Germania alla Fiera di Hannover) si intende una serie di nuove tecnologie industriali che stanno cambiando e cambieranno radicalmente il modo di vedere e pensare l’impresa stessa: la robotica, la stampa 3D, la realtà aumentata sono solo alcuni degli esempi che ci porteranno a scoprire una nuova produzione industriale del tutto automatizzata ed interconnessa.
La domanda che dobbiamo porci per prima è legata al mondo del lavoro e a come l’impiego delle persone dovrà essere modificato per adattarsi ai nuovi tempi e, di conseguenza, come le scelte della politica dovranno muoversi per stare al passo con questi.
Nel 2016 Matteo Renzi e Carlo Calenda hanno dato un primo approccio sostenendo una serie di provvedimenti, contenuti nella Legge di Bilancio del 2017, che però hanno avuto un seguito limitato nel tempo. Da marzo 2018 fino ad oggi sotto la guida del Premier Conte il piano industria 4.0 ha subito un certo ridimensionamento.
Non vengono rinnovati gli incentivi previsti con il super ammortamento (deduzione del 40% su investimenti
in beni strumentali nuovi), viene ridotto il credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo dimezzando l’aliquota di agevolazione dal 50% al 25%. Allo stesso tempo il governo approva il reddito di cittadinanza.
Quello che si vuole sottolineare con questa considerazione è che, alla luce di un piano strategico industriale pensato, in pochi mesi sia andato sprecato un operato che puntava allo sviluppo industriale favorendo così quella che è stata definita come fase di decrescita del Paese.
Una decrescita che è tale in quanto si caratterizza per l’utilizzo di misure assistenzialistiche lontane dalle logiche del mondo del lavoro.
Il vero limite del reddito di cittadinanza, e il peggiore degli errori con esso commesso, è stato quindi quello di confondere le misure sociali in grado di combattere la povertà, che sono giuste e auspicabili, con le politiche attive per il lavoro.
Nel frattempo la situazione politica ha subito un parziale mutamento che ha visto sostituire la partnership della Lega con quella del Partito Democratico.
La paura resta comunque quella per cui manchi, nell’imprinting di chi governa con le più alte percentuali, una visione futura e completa di lavoro, di ricerca e sviluppo delle imprese del nostro territorio.
Sono quelli del reddito di cittadinanza, quelli che hanno preferito promettere la ricarica di una post pay a gli incentivi alla ricerca universitaria, alla formazione professionale dei nostri giovani, agli sgravi per le imprese che assumono, investono e si rinnovano.
Dobbiamo puntare tutto su quello che di meglio l’Italia ha da offrire: scuole di eccellenza che sono faro in tutta Europa, giovani volenterosi con sete di sapere, imprenditori in grado di fare importanti investimenti sulle nuove tecnologie.
È un po’ come il “cerchio della vita”, è una ruota che deve iniziare a ingranare per poter fare un giro completo.
Quando sarà in grado di farlo le imprese dialogheranno direttamente con le università e con gli istituti professionali, avranno ricevuto incentivi direttamente proporzionali a nuovi investimenti, espansione e nuove assunzioni. Non è una utopia, è quello che con le nostre possibilità si potrebbe realmente raggiungere.
A cura dell’On. Maurizio Carrara.