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App Immuni: salute e libertà sotto controllo

1/5/2020

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L’emergenza del Covid-19 ha comportato il lockdown e il distanziamento sociale: ora si profila l’idea del controllo di massa.
Stiamo vivendo un periodo di responsabile autocostrizione domiciliare, più persuasi dal timore del contagio che convinti dalle sanzioni dei divieti imposti dalle autorità di governo. 

In giorni dove sembra che la pandemia debba condizionare tutti gli aspetti della vita presente e futura, sembra che ora potremmo essere costretti a scegliere fra sicurezza e libertà, come se si trattasse di due valori incompatibili fra di loro.

In un solo colpo dovremmo credere superati quelli che fino ad ora erano considerati diritti quantomeno di rango costituzionale. Tutto è accaduto velocemente: dapprima sono venute meno la riserva di legge e di giurisdizione, poi si è iniziato a dire che sono questioni di carattere sanitario che coinvolgono l’intero Paese. Le limitazioni che prima potevano essere assunte da un giudice solamente in presenza di una espressa previsione di legge, con motivazioni riferite a ciascuna persona coinvolta dai provvedimenti adottati ora saranno assunte nei confronti di una percentuale significativa della popolazione del italiana.

Subito sono poi state effettuate delle precisazioni che appaiono toppe più piccole del rammendo necessario: non ci saranno conseguenza per chi decide di non scaricare la “App Immuni”. Chissà se, di fronte all’inverosimile contesto che stiamo vivendo, è possibile stare tranquilli di fronte ad una precisazione che anche solo un paio di mesi fa non sarebbe stata neppure necessaria. Proviamo a partire dall’inizio. L’esigenza è quella di contenere il più possibile il diffondersi di una malattia che è mortale solamente se non viene curata con le giuste procedure. 

Se non si ferma il contagio non ci saranno posti per tutti i contagiati: sulla base di questo assunto, dopo alcune limitazioni di carattere locale, è stato fermato pressoché tutto il Paese. I provvedimenti assunti sono di carattere analitico ed incompleti al tempo stesso: le norme non son più generali ed astratte.

Legiferando per singole categorie dettagliate lavoratori ed operatori economici, il risultato immediato è quello di non riuscire a disciplinare tutti i casi possibili e di tradire l’orizzonte culturale di chi adotta i provvedimenti. Sembra che le attività sportive abbiano più peso dell’industria, che i codici delle singole imprese ne condizionino l’esistenza anche se adottati su criteri dell’attività prevalente, che intere famiglie prive di reddito debbano vivere solamente con importi inferiori a quelli riconosciuti ad altri cittadini come reddito di cittadinanza. 

D’altra parte le autorità di governo, che dovrebbero aver provveduto per tempo, sono le prima a richiedere ed incentivare donazioni da destinare ad iniziative vitali: come se fosse serio definire indispensabile la raccolta di cifre non sufficienti alla bisogna, per l’acquisto di materiali che non si riesce né ad acquistare né a requisire, ma che sono largamente disponibili sul mercato al dettaglio, a prezzi molto più elevati rispetto a quelli di mercato di soli due mesi fa.  D’altra parte è comparsa anche la categoria delle attività non indispensabili: sul punto non è dato sapere come l’attuale gestione politica consideri se stessa.

Nel marasma, mentre tutti contestano i dati diffusi, con un caos pari a quello del blocco, si inizia a voler riprogettare una ripartenza, non perché siano venute meno le condizioni del blocco generale ma solamente perché non ce lo possiamo permettere per un tempo così lungo.

Così, dopo aver fatto strame di pressoché tutti i diritti costituzionali, ora si sente dire che si potrà ripartire solamente se la maggior parte della popolazione si sottoporrà al giogo del controllo di massa, complice la tecnologia. In fondo, dopo aver coinvolto e condizionato la libertà di voto e la libertà religiosa, l’idea di attuare un controllo di massa per condizionare anche la libertà di movimento non dovrebbe stupire. 

Chi lo vuole utilizzare per risolvere il problema della pandemia dice che in fondo si tratta solamente di una “app”, un programma da installare su di un cellulare alla pari di  tanti altri, con la sola differenza che memorizza dati relativi non solo a chi la scarica ma anche a chi gli sta intorno. Dall’elaborazione di questi dati dipenderà poi la riuscita del programma di sanità pubblica, secondo modalità che potrebbero essere spiegate in modo più chiaro.  

Chi gestirà i dati raccolti dalla applicazione sanitaria avrà modo di sapere più cose di quanto sia nelle intenzioni dichiarate: certa la possibilità di distinguere le tifoserie calcistiche sulla base delle partite, i nuclei di soggetti che lavorano presso la stessa sede, le aggregazioni di persone sulla base dei giorni di preghiera delle rispettive religioni. 

Una volta raccolti, i dati avranno certo una vita propria, che sarà difficile controllare appieno. Già i demoni di Bulgakov insegnavano che gli scritti non bruciano: da quando i dati sono digitali verrebbe da dire che le cose sono andate addirittura peggiorando. L’effetto pratico sarà la creazione di una enorme mole di dati digitali con i quali viene tracciata l’intera esistenza di una nazione. 

Con buona pace delle intenzioni dichiarate, nulla garantisce che l’app, apparentemente indispensabile per la difesa della salute pubblica, possa essere impiegata per finalità non previste dagli ideatori. Fra le tante: una possibile richiesta di acquisizione dei medesimi dati da parte dell’Autorità Giudiziaria per finalità di giustizia, alla pari di quanto accade per molti altri dati sanitari. 

D’altra parte gli istituti giuridici comparabili presenti nel nostro ordinamento sono adottati su base individuale, nei casi strettamente previsti dalla legge ed in base ad un provvedimento motivato dell’Autorità Giudiziaria. Il tracciamento o pedinamento elettronico, a mezzo di analisi dei dati degli apparati telefonici in uso può essere disposto dal Pubblico Ministero nella fase delle indagini preliminari. Il braccialetto elettronico, utilizzabile quale modalità alternativa alla detenzione in carcere. 

Nessuno avrebbe potuto mai immaginare un controllo di massa, pur su base volontaria, organizzato su disposizione del potere esecutivo o di commissari straordinari da questo delegati. In queste condizioni l’attesa di una dichiarazione di incostituzionalità pronunciata in via incidentale non pare una soluzione: la pronuncia giungerebbe tardiva, probabilmente quando verranno impugnati innanzi all’Autorità Giudiziaria i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni amministrative emessi dalla prefetture.

D’altra parte le condotte per le quali era inizialmente prevista una sanzione di carattere penale sono state degradate ad illeciti amministrativi e potrebbero comportare problemi di uguaglianza di trattamento per condotte analoghe in settori diversi. In fondo tutti i provvedimenti in materia di libertà personale sono riservati in via esclusiva all’Autorità Giudiziaria: il fatto che l’inedita attività normativa stia invadendo un settore che la costituzione riserva ad un altro potere dello Stato potrebbe forse recare con sé la soluzione al problema. In fondo ogni ufficio giudiziario potrebbe sollevare il conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, possibilità che, in fondo, ha più fondamento di quanto abbiamo visto accadere fino ad ora.

A cura di Davide Calvi.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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