Se quest’ultimo e il suo rapporto con il PIL sono alti, costringono lo Stato a predisporre una più alta percentuale della spesa pubblica destinata a ripagare gli interessi su Obbligazioni e Titoli di Stato (BOT, BTP), sottraendo, ad esempio, risorse a sanità, previdenza sociale, istruzione, opere infrastrutturali.
Nell’ultimo decennio, il linguaggio comune si è arricchito del termine “spread”, divenuto essenziale per misurare la stabilità economica nazionale in ambito internazionale.
Lo Spread (in italiano differenziale) è il termine che indica la differenza tra il rendimento offerto a 10 anni dal BTP Italiano rispetto al suo omologo tedesco BUND.
Questa differenza fra il rendimento dei Titoli di Stato decennali italiani, i Buoni del Tesoro e quelli tedeschi, è divenuto cruciale ago della bilancia: metro per convalidare decisioni politico-economiche nazionali.
L’importanza data allo Spread dai mercati finanziari ed economici può essere determinante per la viabilità
della governabilità del Paese stesso ed influenzare in maniera determinate il valore di affidabilità dei Titoli emessi.
Inoltre, influenzando la governabilità, la sua variazione altera la macroeconomia del Sistema-Paese, che, a catena, impatta sulla nostra quotidianità, su iniziative imprenditoriali, sull’occupazione, sul benessere di tutti noi.
Quelli che appaiono fattori indipendenti sono tutti strettamente connessi; banche, istituzioni, pubblica amministrazione, politiche produttive e finanziarie, opinione pubblica sono un unicum indivisibile.
Gli istituti bancari italiani, ad esempio, detengono circa 300 miliardi di euro in titoli di Stato italiani: custodiscono i risparmi degli italiani, ne sostengono i progetti e danno ai privati la facoltà di trasformare idee in realtà. Sono i primi referenti delle istituzioni economiche nazionali e internazionali, guidando la dinamicità e la stessa sopravvivenza del tessuto produttivo aziendale interno: sono un importantissimo volano dell’economia.
Un incremento dello spread, una instabilità dei tassi di interesse le spinge a politiche più restrittive ed interessi elevati, danneggiando con un effetto-domino tutti i cittadini e la spesa pubblica.
Negli ultimi sei anni vi è stato un miglioramento del rapporto deficit-debito pubblico: il Paese attendeva per il 2018 un calo a 63 miliardi della Spesa Pubblica.
Dopo anni di calma assoluta, dunque, con lo spread in costante calo, i rendimenti azionari hanno ripreso a
salire: un Btp italiano a 10 anni è arrivato a rendere l’1,50% in più rispetto ad uno tedesco. All’inizio di maggio 2018 si registrava un rendimento dell’1,21%: un mese dopo del 2,38%.
Questo indice è stato sovente percepito dall’opinione pubblica come un parametro capriccioso del mercato economico, responsabile di disordini ingiustificati e di scelte governative penalizzanti: si tratta in realtà di un valore analitico. Sono le decisioni legate alla politica che determinano le sue oscillazioni.
Ad influenzarne gli ultimi risultati, credo sia stata determinante l’ostilità della maggioranza ai parametri Ue.
Il trattato di Maastricht del 1992 è stato per il nostro Paese una grande opportunità: ha aperto orizzonti economici impensabili.
Tuttavia, come ogni accordo, l’Eurozona richiede responsabilità: inflazione all’1,5%, debito pubblico al di sotto del 60%, deficit contenuto al 3%, tassi di interesse non superiori al 2%. Questi parametri si sono mostrati strumenti dalle possibilità insperate; derogabili e flessibili solo se vantaggiosi per i cittadini o per raggiungere risultati positivi.
Riforme, occupazione, mercato globale e investimenti nell’economia sostenibile implicano certamente cambiamenti coraggiosi, ma che nel lungo periodo creano benessere all’economia nazionale e, soprattutto, ai cittadini.
L’Italia ha bisogno di inclusione, finanziamenti destinati alla ricerca e alla scienza, di iniziativa economica pubblica e privata dal respiro internazionale. Non è la progettualità a destabilizzare lo spread e gli equilibri economici, ma la sua carenza.
Una politica isolazionista ha notevoli conseguenze pratiche: si deve diffondere la consapevolezza che qualsiasi decisione politica, dettata dall’utilità o dal bisogno di consenso momentanei, è nociva per i cittadini, li privi di importanti strumenti di sostegno e servizi, ricadendo direttamente sul benessere delle famiglie.
Macroeconomia e microeconomia non sono meri concetti astratti, bensì numeri e cifre che hanno valore nella vita quotidiana.
Comprendere l’importanza di accordi internazionali, di cooperazioni mirate in zona euro e di progetti comuni tra Stati membri è la chiave per contenere la volatilità dello spread: equilibrio da tradursi in sostegno a privati, imprese ed istituzioni.
L’importanza di attribuire alla cittadinanza oltre confine, di prima, seconda e terza generazione e ai giovani trasferitisi all’estero, l’adeguata e meritata riconoscenza per l’enorme impegno che essi profondono nella promozione globale del Made in Italy e l’enorme incidenza che apportano alla crescita del PIL e del benessere dei cittadini residenti in Italia sono essenziali.
Il potenziamento dell’export ha un valore intrinseco fondamentale per ridurre lo spread e destinare, così, maggiori risorse finanziarie alla spesa pubblica.
Le mie affermazioni sui nostri connazionali all’estero, soggetti indispensabili per la crescita economica e il Sistema-Paese, non sono casuali. Maggiore attenzione e cura verso le loro esigenze si trasformano in prosperità per l’Italia e benessere agli italiani.
A cura dell’On. Nicola Carè.