Il successivo comma 629 impone alle regioni l’obbligo di adeguare la propria normativa al nuovo quadro legislativo nazionale: con un tratto di penna l’IRBA è stata pertanto abrogata, privando le regioni della possibilità di fruire di questa entrata propria correlata ad uno specifico scopo.
Le norme comunitarie che legittimano l’imposta di scopo, tuttora vigenti, sono nella Direttiva 92/12/CEE del Consiglio del 25 febbraio 1992, che all’articolo 3 paragrafo 2 prevedeva che “I prodotti di cui al paragrafo 1 possono formare oggetto di altre imposizioni indirette aventi finalità specifiche”, ora sostituita dalla Direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008, che all’articolo 1 paragrafo 2 prevede che “Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche”.
Ambedue le norme comunitarie prevedono l’espressa condizione di non aggravare con la maggiore imposta l’impianto contabile e di controllo, optando pertanto per una imposta di tipo addizionale rispetto alle ordinarie accise.
All’abrogazione operata dallo Stato italiano ha senza dubbio contribuito l’ormai noto contrasto delle addizionali regionali con le imposte comunitarie: è stata infatti rilevata la mancanza della precisa indicazione dello scopo da raggiungere con l’imposta addizionale introdotta da talune regioni.
Con l’utilizzo di formule generiche nelle norme che hanno introdotto l’IRBA, infatti, le regioni non hanno fatto altro che integrare la fiscalità regionale generale con ulteriori introiti: in questo si sostanza la violazione del diritto dell’Unione Europea che viene contestata.
D’altra parte l’imposizione dell’addizionale IRBA è da tempo un sorvegliato speciale per l’unione europea: lo Stato italiano è infatti chiamato a rendere conto del suo operato nell’ambito della procedura di infrazione comunitaria 2017/2114.
Una prima riflessione si rende opportuna: l’addizionale sulle accise non è vietata in sé ma è espressamente prevista dalle norme comunitarie come possibilità di introdurre alle accise sui carburanti un’addizionale di scopo. Ciò che viene contestato all’Italia è la mancanza di una precisa finalità che spieghi e legittimi l’introduzione dell’addizionale, riferendola alla realizzazione di opere specifiche.
Ne consegue, peraltro, che l’imposta di scopo deve avere una durata o, meglio, sarà da ritenere ammissibile sino al raggiungimento dello scopo. In sostanza le norme comunitarie prevedono un divieto di utilizzare questa addizionale per integrare i bilanci degli stati e delle loro articolazioni territoriali interne.
Resta chiaro che lo Stato italiano ha abrogato l’addizionale per non essere chiamato a rispondere delle violazioni del diritto dell’Unione Europea poste in essere dalle sue componenti interne ed, in particolare, dalle Regioni.
Si deve notare, tuttavia, che lo Stato italiano aveva esteso anche alle regioni la possibilità di applicare questa addizionale, senza mai impugnare le singole leggi regionali di introduzione dell’IRBA prive dell’analitica indicazione di uno scopo specifico.
D’altra parte, con riferimento alle medesime critiche rivolte dall’Unione Europea, si rileva che la legislazione regionale, in fondo, ricalca l’abitudine nazionale, atteso che in Italia da sempre si approvano leggi nelle quali sovente, a fronte di specifiche esigenze, si è proceduto all’introduzione di addizionali statali di scopo. Guerra d’Etiopia (1935-1936), crisi di Suez (1956), disastro del Vajont (1963), alluvione di Firenze (1966), terremoto del Belice (1968), terremoto del Friuli (1976), terremoto dell’Irpinia (1980), Libano (1983), missione in Bosnia (1996), rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri (2004), acquisto di autobus ecologici (2005), terremoto dell’Aquila (2009), finanziamento alla cultura (2011), emergenza immigrati dopo la crisi libica (2011), alluvione in Liguria e Toscana (2011), decreto “Salva Italia” (2011), terremoto in Emilia (2012): sono state tutte occasioni per aumenti delle accise nazionali, con una generica indicazione di scopo che non è in alcun modo accompagnata da elementi di dettaglio.
I proventi delle addizionali, infatti, come rilevato da talune associazioni di contribuenti nazionali, hanno sostenuto la fiscalità generale e, ad esempio, nel periodo dal 1970 al 2015, in dati attualizzati, hanno consentito la raccolta di 261 miliardi di euro nominali, a fronte di assegnazioni agli scopi dichiarati pari a soli 121 miliardi di euro attualizzati.
Per evitare il rischio di incorrere in equivoci con l’Unione Europea, sembra pertanto opportuno valutare una riforma complessiva della tassazione degli idrocarburi da autotrazione, che prenda atto del fatto che le motivazioni storiche, a suo tempo utilizzate per introdurre incrementi addizionali delle accise, ora venute meno facendo confluire gli introiti nella fiscalità generale.
D’altra parte gli equivoci sono in agguato: basti pensare che l’articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, abrogato dal sopra citato art. 1 comma 628 della Legge finanziaria 2020, è richiamato dall’art. 5-quater della legge 24 febbraio 1992, n. 225 fra le entrate proprie delle regioni per far fronte alle ricostruzioni conseguenti al sisma che ha devastato il centro Italia nel 2009.
La fine dell’IRBA, comparsa senza approfondimenti nel testo finale della legge finanziaria da ultimo approvata, forse non è stata adeguatamente considerata in tutte le sue possibili implicazioni.
Si rileva, infine, che l’abrogazione dell’IRBA, non influisce sulla possibilità di richiedere, per contrarietà al diritto comunitario, i rimborsi per l’imposta già pagata; appare opportuno, infatti, valutare in primis, l’interruzione dei termini di prescrizione. Ai soggetti passivi dell’imposta ogni valutazione sull’opportunità di procedere.
Imposte di scopo introdotte dall’Italia sui prodotti petroliferi da autotrazione
- 0,000981 euro: finanziamento per la guerra d’Etiopia (1935-1936)
- 0,00723 euro: finanziamento della crisi di Suez (1956)
- 0,00516 euro: ricostruzione dopo il disastro del Vajont (1963)
- 0,00516 euro: ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze (1966)
- 0,00516 euro: ricostruzione dopo il terremoto del Belice (1968)
- 0,0511 euro: ricostruzione dopo il terremoto del Friuli (1976)
- 0,0387 euro: ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia (1980)
- 0,106 euro: finanziamento per la guerra del Libano (1983)
- 0,0114 euro: finanziamento per la missione in Bosnia (1996)
- 0,02 euro: rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri (2004)
- 0,005 euro: acquisto di autobus ecologici (2005)
- 0,0051 euro: terremoto dell’Aquila (2009)
- da 0,0071 a 0,0055 euro: finanziamento alla cultura (2011)
- 0,04 euro: emergenza immigrati dopo la crisi libica (2011)
- 0,0089 euro: alluvione in Liguria e Toscana (2011)
- 0,082 euro (0,113 sul diesel): decreto “Salva Italia” (2011)
- 0,02 euro: terremoto in Emilia (2012)
A cura di Mary Lin Bolis.