Ad una giurisprudenza già consolidata, nonostante il recente cambio di direzione venuto alla luce con la pronuncia del 2015 delle Sezioni Unite, la Cassazione conferma l’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale in relazione ai c.d. “accertamenti standardizzati”, fondati sui “parametri” di cui all’art. 3, commi 181 e ss., l. 549/1995 o sugli “studi di settore”.
Il Supremo Collegio, infatti, con la sentenza n. 1496 del 2017, depositata il 20 gennaio 2017, va ad affermare il suddetto principio alla luce dei diversi e più recenti della Corte di Cassazione a Sezioni Unite.
Come noto, la questione giuridica relativa alla vigenza o meno nel nostro sistema giuridico nazionale di un obbligo generale di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, dal 2014 ad oggi, è stata oggetto di contrastanti orientamenti delle Sezioni Unite ripresi nella sentenza in esame (cfr., SS.UU. nn. 26635/2009, 26636/2009, 26638/2009, 19667/2014, 19668/2014 e 24823/2015) e ad oggi al vaglio della Corte Costituzionale la quale, già nel 2015, si era pronunciata in senso favorevole alla presenza di un generale obbligo di attivazione del contraddittorio, conformemente a quanto affermato dalle Sezioni Unite nelle pronunce del 2014.
Nel caso di specie il collegio di Piazza Cavour era chiamato a dirimere una controversia relativa ad una società s.r.l. contribuente che, nell’anno 2004, aveva dichiarato ricavi di gran lunga inferiori a quelli risultanti dall’applicazione dello studio di settore di cui all’art. 62 bis D.L. 331/1993 convertito nella legge n. 427/93.
Nel ricorso in Commissione Tributaria Provinciale, la contribuente aveva eccepito diverse doglianze tra cui la violazione del diritto al contraddittorio da parte dell’Ufficio, su cui nulla i giudici di primo grado, accogliendo parzialmente il ricorso, avevano statuito in sentenza.
Non trovando accoglimento in sede regionale, la doglianza sul mancato contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente veniva portata, insieme ad altre, al vaglio del Supremo Collegio.
In particolare, la ricorrente sosteneva l’obbligatorietà per l’Ufficio dell’invio al Contribuente, prima della notifica dell’avviso di accertamento, dell’invito a comparire, pena la nullità dell’atto impositivo così come espressamente stabilito dall’orientamento creatosi a seguito delle sentenze delle Sezioni Unite nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, depositate il 18 dicembre 2009.
La Corte, in motivazione, ha fondato la sua decisione partendo dalla pronuncia a Sezioni Unite n. 19668 del 2014, secondo cui, a prescindere dalla qualificazione giuridica dell’accertamento, è immanente nell’ordinamento tributario il rispetto del precetto della tutela del diritto di difesa del contribuente mediante l’obbligo di attivazione da parte dell’amministrazione del contraddittorio endoprocedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento che incide sui diritti e gli interessi del contribuente.
Nonostante ciò, la Corte rileva anche il diverso orientamento manifestato, sempre a Sezioni Unite, con la sentenza n. 23823 del 2015, secondo cui un obbligo così come esposto nella precedente pronuncia del 2014 sarebbe vigente solamente per quanto riguarda i tributi “armonizzati” e “purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbero potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa”, non essendo rinvenibile un simile generalizzato vincolo per i tributi “non armonizzati” poiché non espressamente previsto.
Nel caso di specie, non trattandosi di accertamento effettuato a seguito di verifica, si potrebbe ritenere che non sussista alcun obbligo del contraddittorio, fatto salvo il caso ove espressamente previsto.
Tuttavia la Corte, richiamando la sentenza delle SS. UU. n. 26635 del 2009, evidenziava che il contraddittorio endoprocedimentale è necessario anche in relazione ai c.d. “accertamenti standardizzati” poiché, sebbene non ritenuto vigente nell’ordinamento una clausola generale di contraddittorio, sono le specifiche caratteristiche ontologiche e normative di detti accertamenti a far propendere per tale soluzione.
Gli accertamenti sulla base degli studi di settore, infatti, pur costituendo presupposto per il legittimo ricorso all’accertamento induttivo, non assurgono di per sé stessi, se contrastati, al valore di prova nemmeno presuntiva, all’uopo necessitando di essere integrati da elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa del singolo contribuente.
Inoltre, la sentenza delle SS. UU. n. 24823/2015, individua essa stessa una serie di norme che impongono il contraddittorio anche in quei procedimenti accertativi che non comportano verifiche, ispezioni ed altro nella sede dell’azienda (art. 12, comma 7, Statuto del contribuente).
Pertanto, ritenendo assorbente la fondatezza dell’eccezione in ordine alla mancata instaurazione del contraddittorio, con la sentenza n. 1496 del 2017, la Corte di Cassazione ha ritenuto vigente nel presente caso l’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente ed ha affermato quanto segue:
“…trovano dunque applicazione i principi giurisprudenziali di legittimità e precisamente quelli di cui alla sentenza delle SS. UU. n. 26635 del 18.12.2009 (Rv. 610691) secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standard” in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione ed elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente”.
A cura di Alberto Nico