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Piccoli consumatori crescono

3/8/2015

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Consumatori si nasce e non si diventa. O almeno così dovrebbe essere nella concezione fortemente rivolta al raggiungimento degli obiettivi commerciali di tutte le reti vendita aziendali.
Questa situazione si materializza quando le mamme e i papà portano più spesso i bambini al supermercato piuttosto che in un museo o a fare una passeggiata in montagna, quando li parcheggiano strategicamente davanti al televisore, probabilmente inconsci che le fasce orarie pubblicitarie fra le 15 e le 18 sono le più ambite e costose per molte categorie merceologiche.
L’idea estremamente diffusa di poter entrare in un ipermercato ed avere in mano una leva di scelta molto importante solo perché si possono indirizzare i propri soldi verso un prodotto anziché un altro non è completamente sbagliata, ma denota purtroppo il fatto che il consumatore non sa che può essere facilmente pilotato verso determinati acquisti, mediante tecniche psicologiche estremamente sofisticate ed efficaci.
Ecco perché spesso si va al supermercato e si trovano i prodotti cambiati di posto, per fare in modo che le persone non si creino percorsi abitudinari brevi, ma siano di tanto in tanto obbligate a girare di qua e di là per trovare ciò che cercano e quindi a dare un’occhiata anche ad altri beni.
Ecco perché i prodotti che si vogliono “promuovere” vengono posizionati negli scaffali all’altezza degli occhi di un adulto di statura media, mentre quelli che potrebbero essere acquistati dalla mamma se il figlioletto si mette a piagnucolare sono posizionati spesso all’altezza degli occhi di un bambino di 3-4 anni.
Consumatori si deve nascere e non semplicemente diventarlo, per cui il percorso standard di un consumatore normale prevede una prima fase in cui non può disporre autonomamente del denaro e quindi non compera in prima persona, ma può fortemente indurre i parenti “con portafoglio” a decidere acquisti che, di per sé, non avrebbero fatto.
Il secondo passaggio si manifesta quando il piccolo consumatore non è più così piccolo e quindi destina l’ammontare della sua paghetta verso acquisti generalmente emozionali ed immediati, diventando di fatto un bersaglio interessante delle arti pubblicitarie, un cosiddetto target del marketing.
Da quel punto in avanti è tutto un crescendo di messaggi subliminali o espliciti, che hanno lo scopo di soddisfare un bisogno personale o di convincere il bersaglio che ha un bisogno di cui nemmeno lui si era accorto, entrando nel vasto e specialistico mondo della convinzione a distanza.
Se un produttore vende cellulari quando ogni acquirente ha rotto il suo può raggiungere una fetta del mercato potenziale anche ragguardevole, a patto che i suoi telefoni siano di ottima fattura. Se però il medesimo produttore riesce a convincere, con opportuni messaggi pubblicitari, che un miglioramento sostanziale della qualità di vita del bersaglio deriva strettamente dall’acquisto regolare sempre dell’ultimo modello appena uscito, allora quel mercato schizzerà in alto, insieme con gli introiti della società e i dividendi degli azionisti.
Questo approccio è generalmente tipico di una parte molto ampia delle categorie merceologiche esistenti sul mercato e bene si sposa con uno stile di vita tipicamente occidentale, in cui la riparazione di un oggetto guasto è diventata un’opzione da abbandonare, in quanto impossibile o antieconomica o entrambi, e la sostituzione con un modello più nuovo rappresenta pressoché la regola.
Tutto ciò è contro la Legge? No. Tutto ciò viola qualche diritto del consumatore? Molto spesso no, anche se l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato sovente la pensa diversamente. Tutto ciò è eticamente scorretto? Sostanzialmente no, perché lo scopo di esistenza di qualunque azienda che venda beni o servizi è quello di incrementare costantemente il fatturato, ma non può riuscire in questo percorso se non attiva tutti i possibili metodi per catturare l’attenzione del consumatore e soprattutto la sua propensione all’acquisto.
Esiste un aspetto però a cui il povero consumatore deve prestare la massima attenzione, rappresentato dal cosiddetto credito al consumo, cioè da quelle facilitazioni di acquisto che sono ormai diventate estremamente comuni in ogni dove e che si prefiggono lo scopo di fornire piani di pagamento dilazionati nel tempo.
Il grande difetto del credito al consumo è rappresentato dal suo concetto di partenza, ricalcato in qualche modo sulle linee di credito che le imprese ottengono dalle banche con cui collaborano e che utilizzano per ammodernare le strutture o comperare nuovi macchinari.
Un’azienda che acquista un’attrezzatura per velocizzare il lavoro tramite una linea di credito bancaria in pratica ottiene i vantaggi economici derivanti da quell’attrezzatura, dopo averla comperata con denaro non suo. L’interesse che dovrà corrispondere alla banca sarà comunque inferiore all’aumento di reddito derivante dal nuovo macchinario e quindi alla fine della fiera avrà fatto un affare.
Il consumatore che acquista un televisore al plasma da 50 pollici, ma non ha i soldi per farlo, riceve senza problemi il denaro tramite il credito al consumo, a patto che abbia una pensione o un lavoro, ma non riceve alcun vantaggio economico dal suo acquisto e soprattutto, dati i tempi che corrono, spesso non è in grado di garantire che il lavoro lo potrà conservare fino alla chiusura del debito.
Ecco quindi come un utilizzo smodato del credito al consumo possa portare le famiglie di fronte a situazioni in cui il reddito viene improvvisamente a mancare, ma le rate no, lasciando papà e mamma seduti sul divano a rimirare il proprio 50 pollici, dopo aver saltato la cena. Pazienza, cercheremo di mangiare domani. 

A cura di Ferruccio Marello
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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