Anche la Corte di Cassazione negli ultimi tempi è stata chiamata più volte a dover giudicare di casi controversi di utilizzo, da parte dei lavoratori dipendenti ed in orario di lavoro, di Internet e posta elettronica per scopi strettamente personali durante l’orario di lavoro, oppure di installazione sul PC di programmi coperti da copyright e di software non forniti dall’azienda.
La questione di base si pone in merito alla liceità o meno dell’applicabilità di una sanzione disciplinare di tipo espulsivo (licenziamento) nei riguardi del lavoratore all’avverarsi di simili casi.
A dimostrazione della delicatezza e dell’incertezza della materia, appaiono emblematiche due recentissime sentenze, l’una della nostra Corte di Cassazione (sentenza del 2 novembre 2015, n. 22353) e l’altra della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo (la notizia è stata pubblicata il 13 gennaio scorso), che hanno assunto due decisioni esattamente opposte.
Mentre per la Corte di Cassazione italiana è legittima solo una sanzione di tipo conservativo (multa o sospensione), e quindi il licenziamento è un provvedimento sproporzionato, per la Corte di Strasburgo il fatto che il dipendente per anni abbia utilizzato per fini privati (frequenti comunicazioni con la fidanzata e con il fratello) strumenti informatici che l’azienda gli aveva messo a disposizione esclusivamente per motivi lavorativi costituisce un valido motivo di licenziamento.
Nonostante in Italia dallo scorso mese di settembre la normativa prevista dallo Statuto dei Lavoratori in materia di controllo a distanza dei lavoratori sia stata modificata, il dubbio e l’incertezza regnano sovrane e le contrastanti sentenze emesse finora lo dimostrano.
“L’importante - dice il Garante della Privacy in un’intervista da poco rilasciata e pubblicata - è la comunicazione aziendale: il lavoratore deve essere informato dei limiti di utilizzo degli strumenti aziendali, altrimenti nessun tipo di monitoraggio è possibile”.
Ma occorre fare molta attenzione, in quanto anche in presenza di un’adeguata informativa il controllo non può essere illimitato.
Esso, infatti, deve rispondere a principi di necessità e correttezza e deve avere finalità ben determinate, esplicite e legittime, altrimenti diventa un controllo di tipo massivo in violazione dei diritti dei lavoratori.
Tutto ciò è stabilito e ben regolamentato dal cosiddetto Codice della privacy, il Decreto Legislativo n. 196/2003.
A cura di Bruno Bravi