Dott. Testino, di cosa si occupa il Centro Alcologico che dirige?
Nel nostro Centro di Genova accogliamo pazienti con malattie da alcol. Dal punto di vista assistenziale, curiamo non solo l’alcol-dipendenza, ma anche malattie concomitanti come la cirrosi epatica o la pancreatite. Dal punto di vista culturale, abbiamo costruito una rete di relazioni con il territorio e le associazioni per promuovere la prevenzione, soprattutto fra i ragazzi, e insegnare loro uno stile di vita corretto.
A quale età si inizia a consumare alcolici in Italia?
A livello nazionale, l’inizio si attesta intorno agli 11-12 anni. Tra gli 11 e i 13 anni, il 15% di maschi e il 10% di femmine consumano già bevande alcoliche. La percentuale aumenta sino al 50% tra i 14 e i 17 anni nei maschi e al 25% tra le femmine. Se consideriamo che al di sotto dei 18 anni la legge vieta di vendere e somministrare bevande alcoliche, ci rendiamo conto che c’è qualcosa che non va nel sistema.
L’educazione all’alcol dei giovani, con l’assaggio sin da bambini del bicchierino di vino durante i pasti, può influenzare questo avvicinamento all’alcol?
I giovani bevono per tre ragioni. La prima è l’esempio che diamo noi adulti: l’Eurozona è l’area del mondo in cui si consuma più alcol, quindi spesso i giovani sono abituati a vedere adulti e genitori bere alcol.
Poi c’è la pressione mediatico-pubblicitaria che ha un’influenza molto importante. L’alcol è sempre identificato con modelli di successo attraverso la pubblicità e la cinematografia: oggi nei film non si vede più nessuno fumare, ma si vede bere parecchio.
Infine c’è il trascinamento di gruppo: i ragazzi consumano alcol perché tutti gli amici lo fanno, per non essere identificati dai pari come soggetti perdenti, senza leadership o poco virili.
In Italia il consumo di vino già nelle prime fasi della vita è qualcosa di consolidato nelle famiglie: quando, nelle classi delle scuole medie inferiori, abbiamo chiesto a chi beveva dove avevano cominciato a farlo, il 70% dei ragazzi ha risposto nelle famiglie. Naturalmente le famiglie sono in buona fede: molto spesso gli adulti non identificano il vino con l’alcol.
Come e quando possono intervenire i genitori?
Gli studi neurofisiologici ci insegnano che se fino ai 25 anni i nostri giovani non consumassero fumo e alcol, questo tipo di dipendenze sarebbe piuttosto raro.
Quindi, se vogliamo pensare alla salute dei nostri giovani, il primo no dobbiamo dircelo noi genitori e, almeno in presenza dei ragazzi, non fumare e non bere. Si tratta di un concetto molto complicato nella nostra nazione e in Europa, perché la popolazione adulta identifica nella bevanda alcolica un piccolo piacere e quindi giustifica il bere con il “bere moderato”.
Questo “bere moderato”, però, non soltanto fa male all’individuo perché cancerogeno, ma è un esempio molto negativo per bambini e ragazzi, che sono ormai abituati ad avere la sostanza alcolica sempre a disposizione e la vedono normata dalla società, oltre che da genitori ed educatori. È evidente che poi diventa molto complicato dire ai nostri ragazzi quando escono la sera: “Non bere!”.
Come influisce l’alcol sui ragazzi?
L’etanolo (vino, birra e superalcolici) è una sostanza potentemente cancerogena. Al di sotto dei 18 anni non dev’essere somministrato perché il fegato non è maturo, l’alcol va a finire nel sangue e va a bruciare i suoi neuroni cerebrali.
In più, fino ai 25 anni neppure il cervello è maturo. Prima di quell’età l’etanolo va a colpire due regioni in modo potente: la corteccia frontale, dove si sviluppa la razionalità, e l’ippocampo, sede della memoria.
Esiste un consumo moderato senza rischi?
Il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura definisce l’etanolo una sostanza non nutriente. Per cui, nessun professionista della salute potrà consigliare un dosaggio moderato di una sostanza che non è un nutriente.
Naturalmente questa evidenza scientifica passa attraverso l’inquisizione [ride] di chi vende prodotti alcolici, che ci fa passare per fondamentalisti o portatori di infelicità. Bisogna insegnare ai nostri bambini e ragazzi che possono essere felici e diventare persone importanti anche senza assumere sostanze tossiche come alcol, fumo, hashish, marjuana, ecc.
Il consumo di alcol può tramutarsi in alcol-dipendenza...
Finora abbiamo parlato di etanolo in generale. Parlare di alcol-dipendenza significa parlare di una malattia, in cui il soggetto diventa schiavo dell’alcol.
Dall’alcolismo non si guarisce, si può solo entrare in astensione. Ma le ricadute sono sempre dietro l’angolo: basta una qualsiasi sollecitazione come, ad esempio, un brindisi a Capodanno. Inoltre è davvero difficile mantenere in sobrietà un alcol-dipendente, in una società che ci fa vedere alcol da tutte le parti.
Esistono farmaci e strutture che permettono di mantenere questa astensione?
Ci sono farmaci che in una prima fase possono aiutare il soggetto a bere meno o ad avvertire una repulsione nei confronti dell’alcol. In realtà, la chiave vincente è la motivazione a smettere di bere e soprattutto a mantenere l’astensione e la sobrietà nel tempo.
Per mantenersi in astensione e rafforzare la motivazione è importante frequentare settimanalmente i gruppi di autoaiuto, come gli Alcolisti Anonimi oppure i Club Alcologici Territoriali.
Perché la società condanna fortemente il fumo e non l’alcol?
La comunità scientifica più erudita sa che l’etanolo è cancerogeno, ma purtroppo molti professionisti della salute non hanno ancora recepito bene il messaggio. I cittadini invece non sono proprio informati!
Sui pacchetti di sigarette si legge che il fumo uccide e in TV si vedono spesso campagne pubblicitarie contro il vizio del fumo. Invece, sulle bevande alcoliche non c’è informazione, anzi c’è una controinformazione: addirittura molti produttori dicono che un bicchiere di vino fa bene al cuore.
Non c’è l’onesta intellettuale di informare correttamente la popolazione. A mio avviso, le lobby degli alcolici nel nostro Paese sono potenti quanto le lobby delle armi negli USA.