Di fronte a dati allarmanti come quelli emersi dal primo rapporto dell’Agenzia Ue per i diritti fondamentali sulla violenza contro le donne presentato a Bruxelles, che segnala come una donna su tre in Europa sia stata vittima di qualche forma di violenza basata sul genere, si comprende come ci si trovi ormai di fronte ad una reale emergenza da fronteggiare non solo con strumenti legali di tutela per lo più postuma, ma rafforzando la prevenzione e la cultura della uguaglianza tra uomo e donna in ciascun settore della società, dall’istruzione al lavoro passando attraverso la politica e l’economia.
A livello europeo negli ultimi anni molto si è fatto e molto altro è in programma per contrastare efficacemente il fenomeno.
A tal proposito la commissione per l’uguaglianza di genere interna al Parlamento europeo ha individuato per la propria attività nel quinquennio 2010-2015 cinque settori di intervento prioritario (pari indipendenza economica per donne e uomini; pari retribuzione per lavoro di pari valore; parità nel processo decisionale; dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne; parità tra donne e uomini nelle azioni esterne.) ribaditi nell’impegno strategico a favore della parità di genere per gli anni 2016-2019.
In campo legislativo tra gli strumenti che la Commissione ritiene fondamentale nella lotta alla discriminazione la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul).
In primis appare razionalmente, oltre che moralmente opportuno che l’Unione Europea, benché soggetto diverso dal Consiglio d’Europa, si allinei al modus operandi dello stesso nella lotta ad un fenomeno tanto diffuso.
La convenzione risulta assolutamente innovativa rispetto ai precedenti atti in materia sotto molteplici aspetti.
Innanzitutto per la prima volta in un documento internazionale la violenza sulle donne viene associata al concetto di violenza di genere e dunque nei confronti delle donne in quanto tali o comunque con un numero di vittime di sesso femminile del tutto sproporzionato rispetto al genere maschile.
Il range delle vessazioni sanzionate è stato notevolmente ampliato in modo da ricomprendervi fenomeni non connessi esclusivamente a violenze fisiche, sessuali o psicologiche ma anche tutte le restrizioni di carattere economico, le coercizioni e privazioni incidenti sulla libertà personale e le scelte di vita alle quali la donna è sottoposta sia al di fuori che in ambito familiare.
Rispetto alla violenza domestica mi preme sottolineare la reviviscenza dei cosiddetti delitti d’onore e di pratiche deplorevoli tra cui mutilazioni genitali, matrimoni forzati, aborti o sterilizzazioni forzate, per giustificare i quali i carnefici rivendicano differenze culturali e/o religiose tra lo stato di accoglienza e quello di origine.
I flussi migratori che hanno interessato l’Europa negli ultimi anni hanno inoltre creato terreno fertile per l’incremento di pratiche abusive perpetrate dai trafficanti di esseri umani a danno delle donne migranti, maggiormente vulnerabili a violenze durante le lunghe traversate verso le coste europee e la cui sessualità arriva ad essere utilizzata come corrispettivo in assenza di denaro per il pagamento del viaggio, oltre che divenire prede del racket della prostituzione poiché spinte dalle condizioni di indigenza economica una volta giunte nei nostri Paesi.
A livello legislativo la convenzione di Istanbul rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crei un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza ed agevoli la raccolta e lo scambio di dati in materia tra i vari paesi dell’Unione.
Nonostante i principi di uguaglianza di genere e di non discriminazione permeino i trattati cardine dell’Unione, quali il trattato sull’Unione stessa e sul suo funzionamento, e la carta fondamentale dei diritti dell’uomo, l’UE non dispone ad oggi di una normativa uniforme e cogente per tutti gli Stati Membri, ma solo di direttive operanti in vari settori nei quali la donna risulti particolarmente vulnerabile, come sul posto di lavoro, nell’accesso a beni e servizi, nella tutela sia a livello civile che penale delle vittime di crimini.
Non potendo l’UE rivendicare la primazia del proprio diritto in questo campo la repressione di fenomeni discriminatori e/o violenti basati sul genere è stata finora di competenza dei vari diritti interni, con inevitabili ripercussioni sul piano di differenze, talora significative, sia in punto di risposta sanzionatoria per chi si macchia di tali crimini che di sostegno alle parti offese.
Divenendo terza parte dell’accordo che già coinvolge Nazioni Unite e Consiglio d’Europa, l’Unione riuscirà a colmare questo deficit normativo ed a superare i particolarismi nazionali, come del resto già fatto egregiamente in altri settori, potendo esercitare una vigilanza alta sul rispetto della Convenzione da parte dei ratificanti.
Un ulteriore aspetto positivo conseguente all’adesione dell’UE alla Convenzione di Istanbul si rinviene nell’influenza che la sottoscrizione potrebbe esercitare sugli Stati membri limitatisi fino ad oggi alla firma, sollecitandone la ratifica.
Deve infine considerarsi l’impatto sullo scenario internazionale, in quanto la Convenzione andrà ad affiancarsi agli accordi già siglati con le Nazioni Unite e contribuirà a proiettare all’esterno dei confini unionali una posizione di condanna comune a tutti i Paesi Europei, rafforzandone la credibilità agli occhi degli altri protagonisti a livello mondiale della lotta contro la violenza di genere.
Posso quindi con orgoglio affermare che anche grazie alla mia attività come europarlamentare membro della Commissione sui diritti delle donne e uguaglianza di genere (FEMM) l’Unione Europea si accinge a ratificare la Convenzione di Istanbul, compiendo di fatto un passo decisivo nella lotta alla discriminazione e alla violenza di genere.
A cura di Barbara Matera