Credo che nel 2016 dovremo in primis cercare di puntellare la ripresa economica e il risveglio del Paese, che con fatica ma con decisione ha mostrato come l’Italia sia riuscita a rimettersi in moto.
I segnali di occupazione, anche giovanile, i dati sui consumi e sull’iniziativa delle imprese fanno ben sperare rispetto ad anni in cui il segno meno caratterizzava la nostra economia.
Per fare questo bisognerà continuare sulla strada delle riforme, soprattutto per semplificare la vita di cittadini e imprese. Credo che il punto principale sarà quello di una pubblica amministrazione più amica, più semplice e, punto a me molto caro, un investimento ancora più significativo sul versante della formazione, non solo scolastica ma anche universitaria e della ricerca superiore.
Come avvicinare le istituzioni ai cittadini per meglio rispondere alle loro esigenze e come rendere i territori i veri protagonisti delle riforme del Paese?
Questa è una sfida che deve partire da un cambio di mentalità: noi siamo sempre stati abituati a ragionare prima delle cornici istituzionali e poi delle funzioni da esse svolte.
La lezione europea è molto chiara da questo punto di vista e credo che anche la riforma Del Rio e le ulteriori riforme degli enti locali dovranno andare in quella direzione.
Si parte dal registrare quelle che sono le connessioni funzionali dei territori, per poi costruire attorno ad esse una formula innovativa, che preveda ad esempio la fusione dei nostri piccoli Comuni e la riorganizzazione delle aree vaste.
Non escludo neppure una diversa organizzazione del livello regionale. Tutto ciò tenendo conto del fatto che ciò che valeva nell’Italia dell’Ottocento (penso agli ottomila campanili o alla riorganizzazione territoriale nei primi anni della Repubblica) oggi per mille motivi rischia di non valere più.
C’è una grande sfida di modernizzazione, che deve portarci ad offrire servizi più friendly e più vicini ai cittadini.
In base alla Sua esperienza di politico e docente, può dirci in che modo lo Stato e la società possono sostenere i giovani nell’affrontare le sfide che li attendono?
Se n’è parlato a lungo, ma devo dire che negli anni è sicuramente mancato l’investimento sui giovani.
In particolare, nella mia vita di docente, ho visto che rispetto ad altri Paesi europei noi rischiamo di dare meno opportunità ai nostri giovani.
Forse offriamo qualche volta più garanzie o perlomeno abbiamo provato a farlo, ma nel momento in cui queste non ci sono ci siamo resi conto che ciò che vale davvero è l’investimento in capitale umano.
Quindi formazione, formazione, formazione! Una formazione più aperta all’internazionalità, per aiutare non solo i giovani ma, ad esempio, anche il nostro mercato del lavoro, affinché li accolga.
Il fatto che un dottorato di ricerca in qualunque altro Paese del mondo sia molto richiesto dalle imprese e qui in Italia, invece, non abbia nessuna possibilità di collocamento fa parte della mentalità che dobbiamo provare a cambiare.