La sinergia tra fondi europei e Comuni a mio avviso funziona solo in parte. Compito dei diversi livelli di governance, da quella europea a quella nazionale e regionale, dovrebbe essere quello di migliorarla e renderla più efficace, anche in considerazione delle numerose opportunità.
La capacità di accesso dei Comuni ai finanziamenti diretti (quelli erogati e gestiti direttamente dalla Commissione europea) e indiretti (a gestione concorrente tra Commissione e Stati membri) è oggi assolutamente imprescindibile, soprattutto alla luce della crisi economica e dei pesanti tagli ai servizi pubblici, derivanti delle politiche di austerità imposte a diversi Stati membri.
È da sottolineare che, nel nuovo regolamento FESR 2014-2020, almeno il 5 % della dotazione del FESR, il Fondo europeo di sviluppo regionale, per ogni Stato membro deve essere destinato all'azione integrata a favore dello sviluppo urbano sostenibile, per affrontare i problemi economici, ambientali, climatici, demografici e sociali che riguardano le zone urbane.
Sebbene l'Ue non abbia competenze esplicite in materia di politica urbana, molte politiche comunitarie vengono attuate nelle città dalle città stesse. Da qui dunque nasce il progetto “Agenda Urbana europea”, un modello di governance multilivello, che coinvolga maggiormente il livello locale in tutte le fasi del ciclo politico in modo da avvicinare le politiche alla realtà locali rendendole più coerenti e reattive rispetto ai continui cambiamenti che interessano le aree urbane funzionali.
In Italia, abbiamo a disposizione il Programma Operativo Nazionale "Città Metropolitane 2014-2020”, che può contare su una dotazione finanziaria pari a oltre 892 milioni di euro e che, coinvolgendo ben 14 città, si pone in linea con gli obiettivi e le strategie proposte per l'Agenda urbana europea che individua nelle aree urbane i territori chiave per cogliere le sfide di crescita intelligente, inclusiva e sostenibile poste dalla Strategia Europa 2020.
I Comuni possono inoltre partecipare a buona parte dei programmi a gestione diretta, quali per esempio Il Programma LIFE 2014-2020, Europa per i cittadini, Europa creativa, Erasmus +, Horizon 2020, Easi. Le amministrazioni locali sono eleggibili al finanziamento di diverse azioni dei relativi programmi, i cui obiettivi vanno dal miglioramento delle condizioni per la partecipazione civica democratica a livello di Unione europea, al sostegno dei progetti a livello ambientali, alla creazione di partenariati e di mobilità nel campo dell’istruzione, della cultura e della formazione, alla promozione dell’occupazione e dell’innovazione sociale.
I fondi europei messi a disposizione sono sufficienti e facilmente fruibili?
Per rispondere a questa domanda, mi sembra necessario distinguere tra fondi diretti e indiretti
La quantità dei fondi assegnati per la politica di coesione, per la maggior parte dei casi, sarebbe di per sé sufficiente e coprirebbe un ampio ventaglio di tematiche (parliamo di 450 miliardi a livello europeo per 11 obiettivi tematici, con una dotazione complessiva per l’Italia pari a più di 70 miliardi), ma purtroppo non sempre essi sono semplicemente fruibili.
Esiste, sicuramente in Italia, ma anche in altri Paesi soprattutto dell’ex blocco sovietico, un fondamentale problema di capacità amministrativa, da un lato, e un’oggettiva complessità delle norme che regolano i Fondi SIE, dall’altro. Non a caso, la Commissione europea ha costituito due anni fa un Gruppo di Alto Livello per la Semplificazione, volto ad elaborare raccomandazioni specifiche in termini di costi semplificati, appalti pubblici, aiuti di Stato, meccanismi di gestione e controllo. A mio avviso, la necessaria semplificazione deve tuttavia sempre accompagnarsi a un giusto equilibrio tra accessibilità e controllo, anche al fine di evitare irregolarità (frodi ed errori).
Discorso leggermente diverso per i fondi diretti come Erasmus + o Horizon 2020, che, basandosi su meccanismi di bandi a livello europeo e promuovendo su un meccanismo altamente competitivo necessitano di ottime capacità di progettazione e dunque di personale dedicato e specializzato. Su questi fondi, serve un maggiori impegno finanziario. Purtroppo, programmi come Horizon 2020, che dovrebbero aiutare a rilanciare la ricerca europea, sono stati utilizzati come salvadanaio per altri progetti, come il fantomatico Piano di investimenti strategici, l'EFSI, che non ha rispettato gli impegni per cui è nato: doveva portare finanziamenti in quei settori che fanno fatica a raccogliere investimenti privati e invece ha dato soldi ai soliti noti big, comprese le grandi imprese dell'economia fossile. Uno schiaffo allo sviluppo sostenibile.
Quali sono le problematiche più urgenti che andrebbero risolte su questo versante?
Sia per i fondi diretti, sia per i fondi indiretti, la formazione o la selezione di personale adeguatamente qualificato, capace di fare rete anche con altre istituzioni all’estero (o di interagire proficuamente con la Commissione Europea) è fondamentale per tutti i Comuni. La creazione di un dipartimento o di uno sportello con funzionari capaci sia di progettare, sia di informare la cittadinanza delle numerose opportunità offerte anche ai diversi attori della società civile, mi sembra la strada maestra da percorrere.
Sui fondi indiretti, ci sono almeno due problematiche molto importanti per gli enti locali che andrebbero risolte e su cui lavoro da quasi tre anni in quanto coordinatrice per il mio gruppo nella Commissione Affari Regionali del parlamento Europeo.
Il primo nodo da affrontare è quello del Patto di Stabilità e Crescita. Spesso, le regioni e gli enti locali non hanno le risorse per co-finanziare i progetti della politica di coesione. La soluzione è l’esclusione dal calcolo del deficit del co-finanziamento dei progetti finanziati con i Fondi SIE dal calcolo del deficit nell’ambito del Semestre Europeo.
Il secondo nodo riguarda la cosiddetta macro-condizionalità, ovvero la possibilità, presente nell’articolo 23 del Regolamento Disposizioni Comuni, della sospensione dei fondi SIE per le regioni e gli enti locali degli Stati che non seguono le cosiddette raccomandazioni specifiche per Paese. Sin dal 2014, mi sono opposto strenuamente alla presenza di clausole punitive che non sono solo inadeguati ma anche estremamente controproducenti, poiché è probabile che le sanzioni connesse ai disavanzi peggiorino la situazione di bilancio negli Stati membri interessati e, inoltre, una sospensione dei pagamenti e/o degli impegni del FERS o del FSE perturberebbero la programmazione finanziaria a livello del programma ma potrebbero anche tradursi in un'interruzione dei progetti sul campo. Ho più volte chiesto inoltre alla Commissione di prendere debitamente in considerazione le conclusioni della Sesta relazione sulla coesione in cui si afferma che, nonostante le autorità regionali e locali siano responsabili del 30% circa della spesa totale delle amministrazioni pubbliche e del 60% circa degli investimenti delle amministrazioni pubbliche, l'aumento del debito pubblico (come nel caso del disavanzo) deriva principalmente dalle attività del Governo centrale.
Nella commissione Affari Regionali, il tema è molto controverso e dibattuto, ma anche grazie ad un mio emendamento la prima posizione ufficiale del Parlamento europeo sulla programmazione post-2020 contiene una ferma opposizione alle clausole di condizionalità macro-economica. Mi auguro che nella negoziazione della futura programmazione con la Commissione e il Consiglio, l’intero Parlamento tenga duro su questa istanza così importante per gli enti locali.
A cura della redazione