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Voto dove vivo? Sì, no, forse…

19/8/2024

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Garantire il voto a milioni di persone fuori sede, non solo studenti, deve essere uno degli obiettivi primari per combattere il fenomeno dell’astensionismo





A cura dell'Onorevole Ilenia Malavasi

La battaglia per garantire il voto fuori sede è stata lunga e in questi anni ha visto il Partito Democratico in prima fila nel cercare di garantire il diritto di voto a milioni di persone.
Parliamo di “milioni” perché, erroneamente, il voto fuori sede viene spesso associato solo agli studenti, quando, invece, riguarda anche i lavoratori e migliaia di altre persone – pensiamo solo a chi si trova in situazioni di degenza e ai famigliari che lo accompagnano – costretti a pagare biglietti per viaggi spesso fuori portata per esercitare un proprio diritto. Il risultato è che molti di loro rinunciano in partenza, aggravando ulteriormente il dato – drammatico – sull’astensionismo.
Negli anni, ci sono state pressioni da parte di studenti e associazioni e, in particolare, molto efficace è stata l’azione portata avanti dal comitato “Voto dove vivo”.

Finalmente – dopo che nella penultima legislatura sembrava che il risultato di una legge ad hoc fosse a portata di mano per merito del Partito Democratico, prima che il Governo Draghi venisse fatto cadere in anticipo sui tempi – è stato ottenuto che il Parlamento si esprimesse sul tema. Il decreto approvato dalla maggioranza – che ha consentito, limitatamente per le elezioni Europee dell’8 e 9 giugno, a chi si trova lontano da casa per motivi di studio di votare anche nella Regione di domicilio e non soltanto in quella di residenza – è stato sicuramente un passo avanti, ma purtroppo presenta ancora numerose lacune:


  • non si tratta di una legge stabile, ma di una sperimentazione introdotta grazie a un emendamento al “Decreto elezioni”;
  •  la possibilità non è valsa per le elezioni amministrative che si sono svolte negli stessi giorni; 
  • solo chi è lontano da casa per motivi di studio ha potuto usufruire dei seggi speciali, mentre sono restati esclusi i fuori sede per ragioni di lavoro e di cura;
  • i seggi speciali per il voto fuori sede sono stati allestiti solamente nei capoluoghi di Regione;
  • nonostante sia stata fatta esplicita richiesta, la campagna di informazione e di comunicazione per far conoscere agli studenti fuori sede le modalità con cui accedere a questa opportunità è stata carente. 
Facciamo chiarezza: la nuova modalità di voto ha consentito agli studenti domiciliati per un periodo di almeno tre mesi in un Comune fuori dalla propria Regione di residenza di votare:

  • nel Comune dove vivono temporaneamente, se questo appartiene alla stessa circoscrizione elettorale del Comune di residenza;
  • in seggi speciali istituiti nel capoluogo di Regione del Comune dove vivono temporaneamente, se quest’ultimo appartiene ad una circoscrizione elettorale diversa da quella di residenza.
È ovvio che il tema debba tornare in agenda quanto prima, per giungere – si spera – a una soluzione definitiva mediante una legge adeguata e strutturale e non “emergenziale”, come il provvedimento che ha adottato il Governo. La platea dei beneficiari deve essere estesa a tutte le categorie interessate e occorre predisporre tutti i passaggi tecnici necessari per consentire la piena attuazione di una legge di civiltà, che contrasta l’astensionismo. Tra le funzioni principali del Parlamento c’è anche proprio questa, la “discussione”: il continuo ricorso a decreti-legge, voti di fiducia, disposizioni "tampone" svilisce il ruolo stesso del Parlamento e delle Istituzioni.
Di fronte a questa situazione, viene purtroppo da pensare che l’obiettivo della maggioranza sia proprio questo.

© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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