Sei governi e sette ministri dello sviluppo economico, si sono succeduti dal 2011 ad oggi. Fiat, nel 2011, decide di delocalizzare la produzione di autobus in Francia e in Repubblica Ceca, senza pagare dazi per i tanti soldi pubblici ottenuti sotto forme diverse, sottraendo alle tute blu irpine, un pezzo importante di autonomia economica e sociale, precludendo un eventuale possibilità di lavoro, ai giovani del territorio, devastato da una profonda crisi.
Dopo anni di cassa integrazione ed estenuanti trattative, il ministero dello sviluppo economico individua un acquirente, Stefano Del Rosso, distributore italiano di autobus cinesi, prodotti dalla King Long
in Cina.
Si costituisce un polo privato del trasporto pubblico locale, mettendo insieme due aziende in crisi, la ex-Bredamenarinibus di Bologna, azienda pubblica del gruppo Finmeccanica e la ex-Irisbus di Flumeri azienda privata del gruppo Fiat, nasce così, nel gennaio 2015, la società Industria Italiana Autobus (I.I.A S.p.A.) con un assetto societario diviso tra il venti per cento di Finmeccanica e l’ottanta per cento della Tevere S.p.A, amministratore delegato Stefano Del Rosso.
Viene sottoscritto un contratto di sviluppo, da Invitalia, di circa venticinque milioni di euro, di cui circa sei milioni a fondo perduto, che servirà a ristrutturare lo stabilimento irpino, per renderlo idoneo alla ripresa della produzione di autobus.
Passano altri due anni, prima di vedere qualche timido segnale di ripresa, ma dopo l’ennesimo incontro al Mise e vari piani industriali, presentati dalla società, il progetto non decolla ed ecco che avviene lo strappo, tra lavoratori delusi, sindacati (la Fiom-Cgil in primis) non più disponibili a tollerare le tante promesse mai mantenute, prendendo le distanze dall’amministratore delegato della I.I.A.
Intanto, in questi quattro anni, l’assetto societario ha subito delle trasformazioni: Finmeccanica ha ridotto le quote azionarie; entra a far parte della società un’azienda turca, la Karsan, produce autobus in Turchia; nel pacchetto azionario della Tevere S.p.A, entra anche un componente della famiglia Rampini, che gestisce un’azienda produttrice di autobus elettrici in Umbria.
Passano gli anni ed il numero dei dipendenti, tra Flumeri e Bologna, continua a calare, con miseri incentivi all’esodo, soprattutto a Bologna, alcuni lavoratori hanno trovato una occupazione migliore.
A Flumeri, invece, dove la crisi continua a fare danni, il numero è calato per la prematura scomparsa di cinque dipendenti e di qualche lavoratore che ha maturato i requisiti per l’agognata pensione, nessuno si è dimesso per un nuovo lavoro, anche questo mostra il dramma della situazione che stiamo vivendo.
Per le battaglie portate avanti, dai lavoratori e dai sindacati, in questi lunghi anni, si è riusciti a convincere la politica a finanziare il piano nazionale trasporti: grazie all’intervento del Ministro dei Trasporti, dal 2017, le municipalizzate hanno fatto bandi di gara per migliaia di autobus nuovi, di cui ha beneficiato anche la I.I.A., aggiudicandosi commesse per circa 1.500 autobus, pochi dei quali prodotti in Italia.
L’amministratore delegato della I.I.A, nonostante i tanti ordini, lamentava la mancanza di risorse per mettere in moto gli stabilimenti, delocalizzando la produzione in Turchia. Gli autobus destinati alle città italiane, li producono gli operai della Karsan, dove il costo del lavoro è più basso, mentre i lavoratori italiani sono in cassa integrazione.
Con i soldi dei contribuenti italiani, gli autobus vengono prodotti in Turchia e nessuno, finora, è riuscito ad impedire questo atto criminoso, nei confronti dei lavoratori e dei cittadini italiani, che pagano le tasse.
Intano, la società, ha continuato ad accumulare debiti, tanto da arrivare a settembre del 2018 sull’orlo del fallimento, in portafoglio ci sono ancora circa mille ordini, e dopo vari rinvii per evitare la messa in liquidazione della società, Karsan insieme a Finmeccanica, hanno ricapitalizzato con un nuovo riassetto societario che vede l’azienda turca al 70 per cento e al 30 per cento Leonardo ex-Finmeccanica.
Il ministro dello sviluppo economico, Luigi Di Maio, dopo aver promesso, in campagna elettorale e dopo la sua elezione, che avrebbe considerato l’ipotesi, che noi come Fiom-Cgil chiediamo da anni, alla politica, un intervento pubblico nella società, visto che il privato ha fallito solo una maggioranza pubblica può mantenere in Italia quest’ultima eccellenza.
A settembre, in “mondovisione” il Ministro Di Maio, in un video sui social, da la notizia tanto sperata, BusItalia, una partecipata di Ferrovie dello Stato, maggior committente di autobus in Italia, ha inviato una manifestazione di interesse al MISE.
Tutti ad esultare, per la bella notizia, ma il tutto si è concluso con un nulla di fatto e dal diventare una società pubblica siamo passati ad una società turca.
Abbiamo scongiurato i licenziamenti, ma non siamo ancora fuori pericolo, se non ci sarà una nuova compagine societaria, costituita da imprenditori seri e specializzati nella produzione di autobus, la svolta tanto auspicata, resterà solo un miraggio ed il rischio che l’area dove è sito lo stabilimento di Flumeri (AV), possa diventare un agglomerato di piccole imprese, è molto elevato.
L’area è interessata dalle ZES (zone economiche speciali) istituite dal governo con un decreto del febbraio 2018, diventerà appetibile per decine di imprenditori che, per usufruire degli sgravi economici e fiscali, oltre che incentivi speciali per l’avvio di nuove attività, insedieranno siti produttivi dai contorni poco chiari, come in passato, solo cattedrali nel deserto.
L’area, del sito di FLUMERI (AV), è suddivisa in 150 mila metri quadrati di capannoni e circa un milione di metri quadrati di terreni.
Siamo stanchi, ma nonostante tutto, continuiamo a lottare affinchè gli autobus che circolano nelle nostre città, siano prodotti in Italia, abbiamo competenza e professionalità da tramandare alle nuove generazioni, la politica non può restare indifferente, di fronte a queste priorità.
Abbiamo bisogno di più coraggio da parte delle istituzioni, accolgano la sfida che abbiamo lanciato da quando Fiat ci ha chiuso, riportiamo a casa “i gioielli di famiglia” e lasciamoli in eredità ai nostri figli.
A cura di Silvia Curcio.