La Giustizia è uno di quei valori che fa discutere, sempre al centro di polemiche e sovente additata come un miraggio difficile da raggiungere. Non di rado, l'esperienza del confronto con un procedimento penale (ma potrebbe dirsi altrettanto per gli altri rami del diritto) suscita un senso di disagio e d'insicurezza, quantomeno nella percezione comune. |
Un secondo motivo di disagio è il confronto con il mondo delle prove. Si tratta di un'esperienza che, pur rappresentando uno dei tasselli centrali e nevralgici del processo (il giudizio si formerà sulle prove raccolte), sovente appare a chi si cimenti con esso per la prima volta, come qualcosa di irreale e finanche inutile.
Immaginiamo di essere vittime di un'offesa: verrebbe da dire che la prova è inutile, perché (nel nostro immaginario e per il nostro orgoglio ferito) dovrebbe bastare il nostro racconto a dar prova di ciò che è successo e delle ragioni che ci portano a farne motivo di giudizio nelle aule di giustizia. La prova è lì, ovvia ed evidente.
Eppure, si tratta di un'idea tanto lontana dal mondo processuale quanto lo è l'idea che, da inesperti, possiamo farci delle tecniche del volo o dell'arrampicata in cordata: se non si conoscono le regole, si finisce inesorabilmente e pericolosamente al suolo.
La raccolta, l'introduzione in giudizio e la valutazione delle prove rappresenta un'attività, infatti, fondamentale per il buon esito del processo e, come tale, è frutto di conoscenze specifiche che, nelle mani di esperti, possono rappresentare l'esercizio di una vera e propria arte.
Per stuzzicare la nostra fantasia al riguardo, potremmo pensare ai telefilm che popolano i palinsesti di tutti i canali televisivi, oppure, con maggior realismo, ai dibattiti che fanno da contorno a tutti i più noti processi contemporanei: la scena del crimine è popolata di investigatori, di medici legali, di ingegneri informatici e di criminologi.
Perché tutto questo? Perché banalmente i più efferati delitti, come le più semplici offese di cui siamo vittime, nella normalità dei casi si svolgono tra pochissimi attori (sovente vi partecipano solo l'autore e la vittima), lasciando tracce talora nascoste (un'ingiuria non lascia tracce visibili, pur se ci ferisce profondamente) e, comunque, sempre da raccogliere ed interpretare.
Ecco, dunque, l'importanza di confrontarsi con la scena del crimine con professionalità, con l'ausilio di tecniche sempre più sofisticate che sappiano discernere tra ipotesi verosimili e improbabili teoremi, per giungere, in una parola, alla ricerca della verità.
Per superare quel senso d'incertezza che normalmente circonda l'esperienza processuale occorre, dunque, partire da qui: dall'individuazione degli strumenti processuali utili per far emergere in modo esaustivo e chiaro i fatti sui quali si formerà il giudizio che si persegue e, per far questo, occorre affidarsi a professionisti esperti e capaci.
Si tratta di un'esigenza molto più frequente di quanto solitamente s'immagina. Non solo i fatti di sangue richiedono di far luce sulla scena del crimine, ma lo richiedono la maggior parte dei reati che quotidianamente affollano le aule di giustizia.
Per rendersene conto, basti pensare all'importanza di acquisire, in modo tale che possano essere portati all'attenzione del magistrato, la registrazione di una conversazione, il risultato delle analisi chimiche dei reflui prodotti da un'attività industriale, l'analisi della concentrazione di alcool nel sangue, ecc. Si pensi, ancora, alla necessità di verificare se la vittima di un raggiro si trovasse o no in condizioni psichiche tali da aver reso possibile la commissione di una truffa a suo danno, oppure alla necessità di determinare la data dell'insorgenza di una patologia e le sue cause. Gli esempi potrebbero continuare ed estendersi a tutte le più differenti ipotesi di reato di cui sono pieni i repertori della nostra giurisprudenza.
Si tratta di attività che non possono essere lasciate al caso, né, ancor meno, tralasciate: pena la definitiva compromissione dell'obiettivo perseguito.
Bastano queste considerazioni per rendersi conto dell'importanza degli strumenti affidati al difensore ed ai suoi consulenti sul terreno delle indagini difensive e, in quest'ottica, della centralità dell'esperienza formativa ed operativa costituita dall'Accademia Italiana di Scienze Forensi, fondata e diretta dal Gen. Luciano Garofano. Si tratta una realtà, di cui fanno parte i massimi esperti delle materie penalistiche e criminologiche in senso ampio, che ha fatto dello studio e dell'approfondimento delle tecniche d'indagine in materia la propria ragion d'essere.
Ed è sul terreno della concretezza delle tecniche dell'indagine forense che si può cogliere il ruolo che l'Accademia può svolgere per superare quel senso di disagio e d'impreparazione che coglie chiunque si avventuri per il sentiero del processo penale.
Naturalmente, come tutte le cose che ci circondano, per poter essere significative per la nostra esperienza debbono essere, anzitutto, conosciute e bisogna avere consapevolezza di poterne far uso al bisogno.
A cura di Biagio Fabrizio Carillo e Maurizio Riverditi