Diverse occasioni, nell’ultimo anno, ci hanno segnalato l’importanza di una nuova agenda politica dove il locale non è secondario alle scelte generali e globali. Da vent’anni si parla di sviluppo locale ed Expo, che ancora tutti abbiamo negli occhi, ci ha mostrato quanto diversi Stati stanno facendo proprio in questa direzione.
Non solo Milano 2015 e l’Esposizione. Proviamo ad analizzare alcuni macro-temi sui quali le istituzioni, a tutti i livelli, a partire dai Comuni, dovranno concentrarsi nel prossimo quinquennio, guardando all’Europa come luogo di elaborazione di idee e dove sono presenti fondi, risorse economiche.
Il primo è quello relativo al rilancio dell’agricoltura e più in generale al food, settore trainante e in crescita per molte aree delle Regioni alpine, prima fra tutte il Piemonte.
Per la sua estensione e conformazione, la montagna ha una primaria vocazione agroproduttiva. Le aree destinate a pascoli, ortofrutta, agriturismo, a parità di intervento pubblico, producono - in termini di reddito e occupazione - più delle pianure cerealicole dove l’occupazione scende ad una unità ogni 100 giornate. E sta peggiorando gravemente anche il settore zootecnico. La montagna è, per eccellenza, il luogo della biodiversità. Cosa fare dunque? La nostra agricoltura non può che essere “ambientalista”, multiforme e biologica, con produzioni certificabili, capaci di “produrre ambiente”, quindi parte integrante della “economia rurale” che comprende l’agriturismo e la multiprofessionalità dell’operatore economico montano.
Va, poi, adeguatamente utilizzato il neoconcesso - dall’UE - marchio “prodotto di montagna”. Permette di far crescere il valore dei nostri prodotti enogastronomici tipici, da esportare con tutti gli strumenti possibili, anche in e-commerce, in modo che veicolino flussi di persone che vengono nelle nostre vallate a scoprire l’eccellenza ambientale dove quei prodotti nascono.
Un secondo cluster è quello turistico. Le balconate delle Alpi, che si affacciano su pianure ricche di castelli e città d’arte sono dei naturali generatori di flussi.
Naturalmente la vocazione va coltivata, arricchita con offerte capaci di mettere in vetrina ospitalità, ambiente, storia, cultura (linguistica, musicale, artistica), sport invernali ed estivi, valori antropici. Una particolare attenzione deve essere data agli impianti di risalita.
Nell’ambito di veri e propri Sistemi Turistici Locali, all’interno delle Unioni montane di Comuni, occorre considerare tutti i fattori che possono generare nuovi flussi turistici che cercano la specificità dei luoghi e dell’accoglienza, lontano dalla massificazione urbana e degli hotel di catene uguali in ogni parte del mondo.
Le risorse della montagna vanno utilizzate per lo sviluppo e quindi devono essere sottratte il più possibile a scelte speculative. La sostenibilità ha questo obiettivo.
Green e smart sono due assi da declinare sui territori. E un primo tema è quello relativo alla produzione di energia alternativa. I territori montani devono essere protagonisti in questo settore strategico, dove la produzione si intreccia all’imprescindibile risparmio energetico.
Ecco perché oggi, su tutto l’arco alpino come nell’Appennino, vogliamo far nascere le prime Smart & Green Communities, moderni distretti tecnologicamente avanzati, capaci di veicolare occupazione e innovazione, consolidare imprese e generare nuove società.
Questo impegno è dell’Ente pubblico, Comuni e Unioni montane in particolare, d’intesa con i Gruppi di Azione locale, vista la loro capacità di gestire parte dei fondi UE del Piano di sviluppo rurale.
Di Green communities e di Oil Free Zone si parla nel Collegato ambientale alla Finanziaria che il Parlamento ha varato a dicembre 2015. Contiene azioni e interventi - anche risorse - che dovranno guidare gli Enti locali nella pianificazione territoriale. Enti sempre più competitivi, sempre più capaci di intrecciarsi con quanto si sta facendo all’interno della Strategia macroregionale alpina.
Questi temi impongono un nuovo impegno politico, delle Regioni e del Parlamento. Finalmente l’Italia ha una legge sulla green economy, che sarà alla base del Green Act. Ma a questo si unisce la necessità di una legge sulla governance dei territori, sui piccoli Comuni e la montagna.
Un anno fa, con Ermete Realacci abbiamo presentato in Parlamento un disegno di Legge che prevede misure per la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del prodotti agroalimentari, l’e-government, il riconoscimento della specificità territoriale nel riordino sanitario, nell’edilizia scolastica e nel servizio idrico. Inoltre, si propone di istituire un fondo per l’incentivazione della residenza nei piccoli Comuni e un fondo per lo sviluppo strutturale ed economico sociale di questi territori.
Particolare rilevanza assume la delega al Governo per l’introduzione dei sistemi di remunerazione dei servizi ecosistemici e ambientali, stabilendo che vengano remunerati i servizi di fissazione del carbonio delle foreste di proprietà demaniale e collettiva, la regimazione delle acque nei bacini montani, la salvaguardia della biodiversità e delle qualità paesaggistiche.
Enti locali, imprese, associazioni, singoli devono innescare una marcia in più rispetto al passato, al fine di investire efficacemente le risorse disponibili, evitando sovrapposizioni e burocrazie che hanno pesato in negativo in passato. Ripartiamo dalla comunità. Uscire dalla logica dei singoli e puntare invece sul plurale, sulla condivisione.
Per le terre alte, la comunità non è un fattore marginale. La presenza degli uomini nelle montagne è riuscita, nel corso dei secoli, ad aver ragione delle difficoltà strutturali e delle diffidenze connaturate.
Ripartiamo da un senso di coesione grazie al quale possiamo ancora evitare che la solitudine dell’individuo diventi disperazione disgregante, ed evitare che passi nelle nostre vallate quel modello da banlieue cittadina in cui la gente non ha più il senso della vita, il senso del rapporto umano, il senso del valore e del limite di un’esperienza umana.
Costruire il nuovo senso di comunità partendo dalla nostra capacità di metterci in relazione con l’esterno, e rifuggendo alla tentazione di rinchiuderci su noi stessi. Questa nuova identità, fatta al tempo stesso di conservazione di valori e di innovazione nei metodi, è la chiave per un nuovo sviluppo.
Vista così, la montagna italiana abbandona definitivamente l’immagine retorica e passatista (alla quale restano ancorati troppi osservatori e decisori) di luogo vetusto e di margine.
Oggi la montagna è diventata davvero la base di partenza per un nuovo ruralismo, per un nuovo sviluppo locale e nuove filiere per un moderno utilizzo del territorio e dei suoi beni. È diventata un luogo dove sperimentare, declinare, interpretare quell’“ecologia integrata” che Papa Francesco ci insegna nella Laudato Si’.
Il futuro dell’Italia è strettamente legato al protagonismo delle comunità locali, all’innovazione che sapranno inventarsi i territori per uscire dalla crisi economica e produttiva di questo inizio secolo.
A cura dell’On. Enrico Borghi