Si imponeva un riequilibro che rendesse più attraente la condizione lavorativa rispetto alla dipendenza dai sussidi, che desse una maggiore attenzione alle politiche attive per il lavoro e in particolare ai servizi per il lavoro, così da allinearsi alla media degli standard europei.
Anche per questa ragione il quadro normativo di riferimento è stato riformato profondamente con il Jobs Act e con i Decreti legislativi conseguenti, che si integrano e completano, per garantire a chi perde un’occupazione un’efficiente rete di servizi al lavoro e adeguati programmi di riqualificazione professionale.
Il Decreto Legislativo 150 del 14 settembre 2015 (riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive) è il testo fondamentale di riferimento, che prevede una filosofia di intervento e una impostazione organizzativa profondamente innovativa.
In primo luogo viene costituita l’ANPAL, Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro, che avrà, tra gli altri, alcuni compiti fondamentali, quali il coordinamento della gestione dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego (il cosiddetto sussidio di disoccupazione), la definizione degli standard dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro, lo sviluppo e gestione integrata del sistema informativo unitario, la gestione dell’Albo Nazionale dei soggetti accreditati a fornire servizi per il lavoro, la definizione delle modalità operative dell’assegno per la ricollocazione del disoccupato.
Sarà quindi superabile uno degli effetti meno apprezzabili della riforma del 1997, che ha regionalizzato il settore pubblico delle politiche del lavoro determinandone la frammentazione, con differenziali di efficienza evidenti e preoccupanti.
Ora, attraverso il coordinamento tra ANPAL e Regioni, abbiamo le condizioni per garantire gli stessi livelli essenziali dei servizi su tutto il territorio nazionale, diffondendo quelle che sono le migliori prassi adottate nei diversi ambiti territoriali.
Tra gli intenti innovativi del Decreto 150 emerge la chiara volontà di limitare la platea degli utenti dei servizi a coloro che sono immediatamente disponibili al lavoro, disponibilità che potrà essere dichiarata anche in forma telematica.
Quindi non sarà più necessario andare ad “iscriversi” al Centro per l’Impiego senza una ragione, magari solo al fine di ottenere l’esenzione dal pagamento del ticket sanitario, per la quale sarà sufficiente autocertificare alle USL di essere senza un lavoro.
Quindi meno utenti, ai quali fornire però un servizio di vero e proprio accompagnamento al lavoro, con una priorità per i soggetti percettori di sussidi di disoccupazione che, firmando il Patto di Servizio Personalizzato, assumono l’impegno di ricercare attivamente una ricollocazione, pena la perdita dell’assegno di cui sono beneficiari.
Il Decreto ha tra i suoi punti qualificanti quello di costituire un sistema integrato di operatori pubblici e privati che agiscano nel mercato del lavoro, possibilità questa che in Italia è stata spesso valutata con una dose di ideologia che ha impedito una lettura serena di questa opportunità.
A fronte di una intensa e variegata richiesta di servizi, gli operatori pubblici e privati potranno intermediare su professionalità ed esigenze lavorative diverse e interagire con i sistemi produttivi secondo le proprie specializzazioni.
L’importante è che tutti agiscano in una logica di rete e di sistema, con una capillare circolazione delle informazioni, adottando standard qualitativi certi, determinati dall’attore pubblico nazionale e regionale.
Il rapporto con le imprese rimane a mio avviso un punto debole dei servizi pubblici per il lavoro che, pur non disponendo sempre di tutte le professionalità, possono offrire qualificate preselezioni di personale alle aziende.
Le imprese spesso ignorano questo servizio.
Un piano di marketing mirato sarebbe sicuramente utile per aggiornare l’immagine che queste hanno dei Centri per l’Impiego, oggi ben diversi dai vecchi Uffici di Collocamento.
Viene comunque ribadita la centralità dei servizi pubblici, che restano una componente imprescindibile del sistema, ammorbidiscono le differenze tra coloro che hanno e coloro che non dispongono degli strumenti per muoversi nel mondo del lavoro, garantiscono una sostanziale uguaglianza di trattamento per tutte le categorie di cittadini, anche a quelle meno forti e autonome e quindi meno interessanti sul mercato.
Di riforme del lavoro in Italia ne sono già morte alcune anche di inedia e indifferenza, cambiare modello nelle politiche del lavoro non è un’impresa da poco.
Vanno superate resistenze e apatie varie, tra le quali la difficoltà di circolazione delle informazioni tra Enti pubblici, oltre alla penuria di risorse oramai endemica per le pubbliche amministrazioni.
Non tutto entrerà a regime in tempi brevi, ma il nuovo modello fornirà una risposta più veloce ed efficace alle esigenze di tutti gli attori di un moderno mercato del lavoro.
A cura di Alessio Saso