Il Legislatore europeo, che ormai fortunatamente domina incontrastato quel mare magnum di venti e più piccole realtà nazionali - con le loro specifiche norme - ha partorito il Regolamento 1169/2011 UE, finalizzato a regolamentare le informazioni sui prodotti alimentari rivolte al compratore finale.
A metà dicembre 2014 è diventata attiva una parte di questo Regolamento, che ha soddisfatto le forti pressioni ormai da molto tempo esercitate da tantissime associazioni di tutela dei consumatori sulla Commissione Europea, affinchè le etichette alimentari riportassero anche una tabella nutrizionale.
In realtà, le tabelle nutrizionali sono in uso presso molte aziende da anni ma, fino al Regolamento di cui sopra, il loro utilizzo era considerato facoltativo, così come la loro composizione era lasciata all’arbitrio dei singoli. Oggi invece, pur non essendo ancora vigente l’obbligo generalizzato di esporla, i parametri da comunicare al consumatore sono stati tutti fissati e non sono più lasciati a decisioni soggettive.
A far data dalla metà di dicembre 2016 subentrerà anche l’obbligo generale per tutti e, a quel punto, ogni confezione di alimento che acquisteremo, eccettuati i prodotti esclusi, riporterà la tabella nutrizionale, che potrà quindi essere consultata prima dell’acquisto per verificare la conformità di quel particolare articolo con il nostro personale regime alimentare, con la nostra eventuale dieta o con i nostri guai metabolici, laddove ne fossimo afflitti.
Molta soddisfazione è stata espressa da innumerevoli commentatori per questa iniziativa ma, se la si volesse obiettivamente valutare con occhio tecnico imparziale, essa andrebbe sicuramente ridimensionata, non fosse altro per non generare nel consumatore italiano aspettative ingiustificate e conseguenti delusioni.
Il problema di fondo che tutti si guardano bene dallo spiegare al grande pubblico è rappresentato dall’evidenza oggettiva che la Legge è si stata fatta, ma l’oggetto del contendere non sono frigoriferi, automobili o bulloni da 10, oggetti che vengono prodotti in serie e in base ad una progettazione ingegneristica, la quale contempla naturalmente degli scarti possibili tra un pezzo e l’altro, ma sempre e comunque di qualche frazione di millimetro.
Gli alimenti sono invece oggetti “vivi”, che da un lotto al successivo possono cambiare le loro caratteristiche nutrizionali anche di percentuali sensibili, in virtù del fatto che cambiano le materie prime e queste possono essere considerevolmente diverse a livello di singoli lotti. Facciamo qualche esempio.
Se è vero che gli alimenti con un solo o pochi ingredienti tendono ad essere nutrizionalmente più stabili come contenuto in proteine, grassi, zuccheri e via elencando, lo stesso non si può dire per i cibi che richiedono lavorazioni complesse, che hanno molti ingredienti o che hanno anche pochi ingredienti ma a composizione variabile.
Prendiamo il latte e i formaggi che, tolto alcuni casi, sono composti solo di percentuali variabili di uno, due o tre tipi di latte (vaccino, bufalino, caprino, ovino) e poco di più, e che rappresentano già un esempio valido di come sulla confezione il consumatore troverà numeri poco più che approssimativi e certamente non completamente adeguati allo scopo previsto dal Legislatore.
Cambiando infatti le percentuali relative dei componenti, la stagione dell’anno, l’alimentazione degli animali, l’eventuale alpeggio, il tenore di grasso collegato con la specie zootecnica utilizzata, si potranno riscontrare oscillazioni molto ampie sia dei grassi e sia delle proteine, non prevedibili e non misurabili se non tramite analisi di laboratorio.
Prendiamo il prosciutto cotto, altro esempio di fortissima variabilità della materia prima in rapporto alla quale - cambiando la razza dei suini di cui si utilizzano le cosce, l’alimentazione anche qui degli animali, il peso a fine ciclo di allevamento, la soggettività tipica dei singoli - si otterranno oscillazioni sia dei grassi e sia delle proteine, con tutta probabilità superiori anche alle tolleranze suggerite dalla Commissione Europea agli Organi di vigilanza in fase di controllo.
Gli esempi potrebbero essere centinaia ma, se le cose stanno così, che cosa leggeranno i consumatori nelle tabelle nutrizionali? Quale affidabilità avranno questi dati? Difficile a dirsi, ma certamente sarebbe stato più utile optare per una soluzione più semplice e meno onerosa per le imprese, soprattutto quelle medie-piccole, della cui importanza vitale per l’Italia tutti i politici riempiono i loro discorsi.
Il Regolamento 1169 prevede che possano essere utilizzati dai produttori anche dati derivati dalla bibliografia scientifica, laddove siano riferiti a prodotti simili a quelli propri messi in commercio e questi dati possono essere desunti o da testi scientifici specializzati o da siti Internet.
Ma allora non sarebbe stato possibile, per esempio, creare un sito ufficiale di riferimento, curato dalla stessa Commissione Europea o dal Ministero della Salute, in cui racchiudere tutti i dati nutrizionali dei prodotti circolanti e reso poi disponibile al consumatore per opportuna consultazione?
L’operazione “etichettatura nutrizionale” avrà costi elevatissimi per le imprese, soprattutto se medio-piccole, sia per l’aggiornamento tipografico delle etichette e sia per le analisi di laboratorio. Ciò apporterà benefici molto scarsi anche per l’acquirente, destinato a leggere dati quasi mai corrispondenti alla realtà del prodotto, rappresentando inoltre un nuovo inutile gravame per quei produttori che, a parole, sono ritenuti la spina dorsale del mondo produttivo italiano.
A cura di Ferruccio Marello