Con l’Italia sempre più proiettata sui mercati esteri e un export, che quest’anno dovrebbe traguardare la soglia dei 50 miliardi di euro, parliamo di una crescita economica legata anche a risorse intangibili, con un ‘capitale intellettuale’ ancora da valorizzare che trova in particolare una leva nel sistema delle Indicazioni geografiche, Dop e Igp, normato a livello comunitario a partire dagli anni Novanta. E questo è un valore, utile oltre tutto per realizzare progetti di respiro internazionale che partono dalla qualità delle nostre produzioni. Di questo peso specifico del made in Italy abbiamo parlato anche all’ultima edizione di Cibus, il Salone ‘dedicato’ della fiera di Parma, in occasione di un convegno organizzato dalla Food Trend Foundation.
Le risorse intangibili delle imprese, è stato sottolineato, hanno ormai assunto un ruolo preponderante nell’economia mondiale. E Indicazioni geografiche (Ig) come Parmigiano Reggiano e Grana Padano Dop, Prosciutto di Parma Dop, Gorgonzola Dop hanno il potenziale per essere, nell’agroalimentare, quello che nell’immaginario comune rappresentano brand planetari come Apple e Microsoft.
Le Ig hanno un potenziale che fondale sue basi su elementi inerenti la proprietà intellettuale, il capitale organizzativo, le risorse umane e il capitale relazionale sviluppato negli anni dalle Dop e Igp italiane attraverso una corretta gestione dei Consorzi di tutela e delle imprese consorziate.
Le esportazioni delle nostre Ig, attualmente 876, di cui 315 nel segmento del cibo e 526 in quello del vino, pesano per circa un quarto sul totale dell’export alimentare, per un valore che si avvicina ai 10 miliardi l’anno.
Le imprese attive sono 180mila, i Consorzi di tutela 285. Ma per rafforzare la propria competitività, in particolare nei mercati esteri, questo sistema deve capitalizzare risorse, certificazioni e know how. Uno studio curato da Nomisma evidenzia che il Food&Beverage europeo è primo assoluto a livello mondiale, con un fatturato industriale di 1.260 miliardi di euro.
Seconda è la Cina con 1.054 miliardi, terzi gli Stati Uniti con 807. E l’Italia si colloca a sua volta al terzo posto nell’Unione europea alle spalle di Francia (219 miliardi) e Germania (218). Tutto questo con una buona propensione all’export e una buona reputazione sui mercati mondiali riferibili soprattutto ai prodotti a Indicazione geografica, ma con un grado di competitività sicuramente migliorabile.
Le imprese italiane di settore sono caratterizzate da un limitato dimensionamento strutturale. Quelle con oltre 250 addetti sono solo 134, appena lo 0,2% del totale, a fronte delle 621 della Germania e delle 232 della Francia. E le imprese con oltre 350 milioni di fatturato nel nostro Paese rappresentano solo lo 0,1% del totale, anche se pesano per il 52% sull’export di settore. Indicatori che confermano i limiti di un sistema a fare massa critica di prodotti, anche se di eccellenza, e ad attuare economie di scala nelle diverse filiere produttive.
Denominazioni di origine (Dop) e Indicazioni geografiche protette (Igp), sottolinea Nomisma, evidenziano una propensione all’export (47%) superiore alla media dell’intera industria alimentare italiana (25%).
Tuttavia la Francia, con un numero di prodotti riconosciuti inferiore riesce a fare meglio, con un’incidenza più elevata sia in termini di fatturato sul totale dell’industria alimentare nazionale (15% contro il 12% dell’Italia) che di export (25% contro 23%). Un vantaggio competitivo da parte del sistema transalpino indotto anche dal più elevato posizionamento di prezzo nel comparto dei vini imbottigliati: nel 2019, sempre in base a elaborazioni di Nomisma su dati della Commissione Ue, la Francia presentava un valore alla produzione dei prorpri vini di 19,6 miliardi, a fronte di9,3 miliardi da parte dell’Italia. Mentre la Spagna vince il confronto sui prodotti Dop e Igp per quanto riguarda ortofrutta e olio d’oliva, con valori pari rispettivamente a 620 e 135 milioni, contro i 318 e 82 delle Indicazioni geografiche del made in Italy.
Certo, l’alimentare di qualità in Italia è fortemente legato alla produzione agricola. Con impatti delle Dop che tra il 2019 e il 2020 raggiungevano il 48% del latte prodotto e trasformato nei formaggi, dell’82% della produzione suinicola in quello dei salumi e il 70% delle uve per i vini Dop-Igp. Ma non bisogna cullarsi sugli allori.
Dopo i colpi inferti dalla pandemia a tutte le imprese alimentari e in particolare ai prodotti che venivano consumati nel canale Horeca, tra gennaio e maggio 2021, rispetto allo stesso periodo 2020, il Food&Beverage francese è cresciuto del 14,4%, quello spagnolo del 13,2%, l’italiano delll’8,3 per cento.
Il recupero della Francia è in larga parte trainato dalle Indicazioni geografiche: l’export dei vini rossi Dop Borgogna, sempre nei primi cinque mesi di quest’anno, ha fatto un balzo di oltre il 60%, quello dei rossi Dop Bordeaux è cresciuto del 57%, lo Champagne del 42,6 per cento.
Mentre i rossi Dop Piemonte hanno fatto registrare un +23,8%, il Prosecco Dop +22,1 per cento. Sicuramente l’emergenza sanitaria da Covid-19 ci lascia in eredità cambiamenti nell’approccio al consumo. E in ogni caso nel fare la spesa gli italiani d’ora in poi faranno ancora più attenzione a prodotti di qualità del territorio, sostenibili ed ‘healty’, come quelli veg e ricchi di Omega-3.
Per quanto riguarda le Indicazioni geografiche, con la nuova Politica agricola comune e le sfide che ci attendono con il Green Deal e gli obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale indicati dall’Unione europea, il sistema italiano dovrà affrontare uno scenario in forte evoluzione, con importanti cambiamenti anche nel quadro normativo Ue.
A cura dell’On. Paolo De Castro.