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Cina, industria europea in pericolo

29/1/2016

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L’industria italiana ed europea subirà pesanti conseguenze se la Cina verrà riconosciuta “economia di mercato”.
Se dovessimo identificare una variabile decisiva nell’economia mondiale degli ultimi quindici anni, è inevitabile volgere la nostra attenzione verso la Cina, uno Stato che, dopo un secolo di silenzio, è tornato a far sentire la sua voce.
 
I fatti
L’adesione della Cina all’Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC) nel 2001 è Stato un passaggio storico che ha segnato una svolta per l’economia mondiale: da allora, infatti, la Cina ha progressivamente iniziato a raccogliere i frutti delle caute aperture iniziate nel 1978 da Deng Xiaoping, trasformandosi in un’economia di dimensioni mondiali.
Quando la Cina aderì all’OMC l’Unione europea stabilì che dopo un periodo transitorio di quindici anni - ovvero a fine 2016 - avrebbe valutato se attribuire o meno alla Cina lo Status di economia di mercato (MES).
 
Il problema
L’eventuale decisione favorevole al MES, vista con favore da alcuni Paesi europei nordici (Svezia, Germania, Gran Bretagna) farebbe sì che, con una mossa unilaterale e frutto di una mera decisione politica, la Cina venga riconosciuta come “economia di mercato”, cosa che in realtà non è.
In termini concreti, questo significherebbe che l’UE non potrebbe più applicare le cosiddette “misure di difesa commerciale”, ovvero dazi che vengono applicati alle merci cinesi che arrivano in Europa. Queste misure di difesa vengono imposte proprio perché la Cina non segue le logiche dell’economia di mercato, ma può produrre a prezzi molto più bassi (volutamente più bassi) in quanto sostenuta da aiuti di Stato e normative alquanto “elastiche” in materia di diritti dei lavoratori e standard ambientali.
La combinazione di questi elementi fa sì che i prodotti cinesi siano artificialmente più concorrenziali di quelli europei, motivo per il quale UE e Cina non giocano “ad armi pari”: l’unico modo per difendersi da questa prassi sleale (va ricordato che gli aiuti di Stato o altri tipi di sussidi sono vietati nell’UE) sono proprio le misure di difesa commerciale. Queste, in caso di riconoscimento del MES alla Cina, non potrebbero più essere invocate.
 
Le conseguenze
In termini concreti, le ricadute industriali ed occupazionali di una mossa affrettata ed unilaterale da parte dell’Europa sarebbero pesantissime: una distorsione delle condizioni di mercato causerebbe, secondo stime che variano, circa 3 milioni di posti di lavoro in meno in Europa, di cui 415.000 solo in Italia.
I settori colpiti dalla possibile applicazione del MES Cina e dall'eliminazione dei dazi antidumping sono molteplici, in particolare siderurgia, meccanica, chimica, ceramica, bulloneria, carta, calzature tessile ed arredo.
È chiaro che i contraccolpi per l’Italia, al di là dei circa 400.000 posti di lavoro persi, sarebbero pesantissimi, poiché verrebbero ad essere intaccati settori e comparti produttivi dove l’Italia è leader e che garantiscono al nostro paese una notevole capacità di export.
 
 
Le riflessioni
Il rigetto del MES, posizione sostenuta dai sindacati e dagli industriali (sia italiani che europei) consentirebbe di proseguire secondo la prassi attuale, ovvero continuando a disporre di misure efficaci per evitare le distorsioni di mercato che i prodotti cinesi potrebbero arrecare.
Rigettare il MES non comporterebbe alcun aggravio o peggioramento delle relazioni commerciali con la Cina; anzi, negli anni passati il commercio bilaterale è costantemente cresciuto nonostante le misure antidumping poste in essere dall’UE.
Il dibattito sull’eventuale riconoscimento del MES nasce dall’interpretazione dell’articolo 15 del protocollo di accesso della Cina all’OMC.
Secondo la posizione cinese, la scadenza del termine comporta l’obbligo giuridico a riconoscere “automaticamente” alla Cina il diritto a vedersi riconosciuto questo status.
L’UE, dal canto suo, ha deciso di fissare cinque criteri per determinare se vi sia o meno questo status, ovvero:
1.grado di influenza governativa sull’allocazione delle risorse e le decisioni delle imprese;
2.assenza di interventi dello Stato nelle operazioni di privatizzazione delle imprese e nell’impiego di meccanismi di compensazione e di scambio che non rispettino le regole del libero mercato;
3.diritto societario trasparente e non discriminatorio;
4.rispetto dei diritti di proprietà, esistenza di un regime fallimentare e trasparenza dello Stato;
5.presenza di un settore bancario/finanziario che funzioni in modo indipendente dallo Stato.
L’UE subordina, di conseguenza, il riconoscimento del MES alla verifica del rispetto di tutti e cinque i criteri. Rispetto, allo stato attuale delle cose, lontano da essere attuato.
 
Cosa fanno gli altri
Il piano internazionale presenta una maggior compattezza rispetto al caso europeo.
Ad oggi, nessuno dei principali partner politici o commerciali dell’UE ha preso una decisione in favore del MES alla Cina; un’eventuale decisione favorevole dell’UE costituirebbe un precedente pesante del quale nessuno, nella comunità internazionale, sente la necessità.
Anzi, lo stesso Presidente Obama ha recentemente ammonito l’Europa che una scelta come quella del MES potrebbe avere conseguenze poco felici per le negoziazioni del TTIP.
Attori globali importanti quali gli stessi USA, India, Giappone, Canada o Australia per ora non si sono espressi sul MES alla Cina, e questo non ha pregiudicato i loro rapporti politici o commerciali con Pechino. Concedere o meno il MES, quindi, non impedisce né ostacola le relazioni commerciali con Pechino, comunque già solide.
È chiaro che una decisione così importante non può essere derubricata ad una mera questione giuridica, o, ancora peggio, ad un semplice “automatismo” che per di più non ha alcun fondamento legale o giuridico.
 
La Cina
L’intera questione ruota intorno alla volontà del governo cinese di permettere alle proprie industrie (che nel caso, ad esempio, dell’acciaio producono in perdita) di vendere all’estero quello che non riescono a vendere in casa.
La Cina è ormai un attore mondiale, per il quale la distanza dall’Europa è divenuta relativa. Questo da un lato impone a noi europei di collaborare con Pechino, e di sostenerne la crescita; dall’altro, però, l’Unione europea deve prestare attenzione ad evitare che scelte avventate possano impattare in maniera irreparabile sul nostro tessuto produttivo.
 
La questione di fondo
Anche le riflessioni emerse al seminario da me promosso al Parlamento europeo nelle scorse settimane hanno puntato i riflettori sulla necessità che vi sia un dibattito trasparente e robustamente basato su scenari d’impatto.
Soprattutto per rispondere alla domanda: la sfida del MES Cina sarà affronta in modo da rafforzare il senso e la volontà di proseguire nel processo di unificazione europea, oppure diverrà un ennesimo elemento di divisione?
 
 A cura dell’On. David Borrelli
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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